Scienza e propaganda

“La scienza è uno strumento molto potente, nel quale le persone hanno fiducia. Non la si può attaccare direttamente. Bisogna procedere diversamente. Bisogna quindi appropriarsi della scienza stessa, orientarla, metterla nelle nostre mani” (John Hill)

Cosa c’entra la propaganda con la Scienza? Può l’informazione scientifica essere utilizzata a scopo di propaganda? I più credono che il mondo scientifico sia esente da questo rischio e  non possa essere manipolato. Ma le cose stanno davvero così?

La propaganda è un azione che tende a influire sull’opinione pubblica e i mezzi con cui viene svolta. È un tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti di chi lo mette in atto. La propaganda. utilizza tecniche comunicative che richiedono competenze professionali, nonché l’accesso a mezzi di comunicazione di vario tipo, in particolare ai mass media, e implicano un certo grado di occultamento, manipolazione, selettività rispetto alla verità. I messaggi possono arrivare a implicare diversi gradi di coercizione o di minaccia, possono far leva sulla paura o appellarsi ad aspirazioni positive.

La propaganda agisce nell’ambito della comunicazione e riguardo il suo rapporto con la Scienza può intervenire sia nella comunicazione scientifica vera e propria che nel processo di divulgazione. Vediamo per prima cosa di capire le differenze tra questi due modi di comunicare.

Comunicazione Scientifica

Il metodo scientifico, consiste nella raccolta di dati tramite l’osservazione e l’esperimento al fine di formulare ipotesi e teorie. Si tratta della modalità con cui la scienza indaga sulla realtà ed è il metodo più affermato nel processo di definizione della conoscenza. La moderna concezione di tale metodo si deve a Galileo Galilei che per primo afferma l’importanza della sperimentazione empirica e della dimostrazione matematica per spiegare qualsiasi fenomeno naturale osservabile nella realtà empirica. L’affermazione del metodo scientifico demarca il confine inviolabile tra la scienza e la non-scienza. Le principali fasi del metodo scientifico sono le seguenti:

Sulla base di un fenomeno osservato il ricercatore si pone delle domande e formula delle ipotesi che diano delle risposte e permettano di comprendere un fenomeno. Il ricercatore definisce quindi il metodo di lavoro che seguirà per la sua ricerca elaborando degli esperimenti. Gli esperimenti permetteranno di raccogliere dati e informazioni necessarie per formulare conclusioni che verifichino le ipotesi di partenza ed eventualmente attraverso la matematizzazione permettano di formulare leggi. Il processo di ricerca si conclude con la fase di comunicazione dei risultati che è un aspetto fondamentale del metodo. Nel corso del tempo quest’ultimo passaggio ha seguito un evoluzione. I primi scienziati, per pubblicare ricerche e scoperte, pubblicavano libri, trattati, si scambiavano lettere o si incontravano.  Successivamente questi incontri cominciarono a organizzarsi all’interno di società accademiche come la Royal Society (1660) o l’Accademia delle scienze francese (1666). Solo dal diciassettesimo secolo, apparvero le prime riviste scientifiche come sistema privilegiato nelle quali gli esperti dei vari settori naturalistici e della comunità scientifica comunicavano e diffondevano i loro risultati. Agli albori abbiamo riviste quali Philosophical Transactions, Journal des Sçavans, etc. Nel corso del tempo, all’aumentare delle produzione scientifica si è avuto un progressivo aumento del numero delle riviste scientifiche allo scopo di coprire gli articoli prodotti in tutte le discipline che si andavano progressivamente sviluppando. Oggi se ne contano un numero enorme. Recentemente, la National Science Foundation (NSF) degli Stati Uniti ha pubblicato un’analisi – a partire dal database Scopus, un archivio creato nel 2004 dalla casa editrice Elsevier – che mostra che dal 2008 al 2018 la produzione scientifica nel mondo è passata da 1.7 a 2.5 milioni di articoli (compreso l’ambito ingegneristico).

Nel 2010 il numero di riviste scientifiche era stimato intorno a circa 6,650 con un rate di crescita annuo intorno al 4%. Questa stima tuttavia riguardava le sole riviste cosiddette indicizzate ed in lingua inglese (escludendo quelle nelle lingue nazionali) ovvero solo quelle elencate in repertori bibliografici ufficiali quali Pubmed (Medline), Scopus di Elsevier e Web Of Science di Thomson Reuters.

Molte riviste scientifiche hanno il cosiddetto fattore di impatto (impact factor o IF) ovvero un indice sintetico che misura il numero medio di citazioni ricevute in un particolare anno da articoli pubblicati in quella determinata rivista scientifica nei due anni precedenti. Questa misura viene utilizzata per categorizzare, valutare, comparare e ordinare le riviste scientifiche catalogate.

Quasi tutte le riviste scientifiche indicizzate o meno con o senza impact factor pubblicano attraverso il sistema della peer reviewed (revisione tra pari), sono dotate di un comitato di redazione (board editoriale) esterno indipendente coordinato da un capo editore (editor in chief – EIC). Questo comitato è costituito da docenti e ricercatori universitari e da ricercatori dei maggiori centri di ricerca internazionali (pubblici o privati).

La peer review è il processo indipendente attraverso il quale può avvenire la comunicazione dei risultati scientifici in modo tale da garantire la validità scientifica e certificare la qualità. In questo processo, il ricercatore comunica o più propriamente sottomette al giudizio di altri ricercatori la sua attività di ricerca, il metodo, i dati e i risultati ottenuti. L’iter prevede che il lavoro sottoposto ad una specifica rivista specializzata venga indirizzato dall’editore a due o tre ricercatori indipendenti ed anonimi che lavorano nello stesso settore per valutarne la scientificità, l’originalità, l’assenza di plagi, la completezza, la leggibilità. Questa azione si definisce in gergo “blind review” (recensione cieca) in quanto il ricercatore è chiamato a rispondere ai giudizi espressi da valutatori selezionati ed anonimi.

Al termine del processo di review, la valutazione finale può essere di accettazione (accepted), rifiuto (rejected) o di richiesta di revisione (minor or major revision). In questo procedimento il ricercatore può rispondere alle critiche dei revisori modificando il lavoro o giustificando le obiezioni mosse convincendoli così ad accogliere la pubblicazione; in caso di rifiuto alla pubblicazione il ricercatore può sottoporre il lavoro ad altre riviste ricominciando l’iter suddetto. In funzione dei criteri stabiliti dal board, dal numero di submissions che la rivista riceve e dalla periodicità, i tempi per la pubblicazione di un manoscritto possono variare ampiamente ed essere piuttosto lunghi (alcuni mesi), sempre che non ci siano richieste di major revisions o rejections.

Sottolineiamo ancora che i revisori sono indipendenti e non ricevono un compenso per il servizio svolto che tuttavia viene certificato dalla rivista e assume un valore onorifico. Questo servizio di revisione e pubblicazione offerto dalle case editrici scientifiche delle riviste (ad es. Elsevier, Wiley, ACS, Springer, etc) viene in genere garantito in due modalità distinte. La prima è quella cosiddetta ad accesso aperto (open access) in cui l’articolo dopo accettazione da parte dell’editore diventa pubblico a tutti previo pagamento di una tariffa prestabilita che può variare da qualche centinaia a qualche migliaia di euro. Nella seconda modalità l’articolo viene pubblicato gratuitamente ma non è ad accesso pubblico e può essere scaricato a pagamento per qualche decina di euro oppure risulta accessibile nelle biblioteche o istituti abbonati a quel giornale o a quell’editore (qui i costi sono elevati trattandosi di pacchetti offerti annualmente a università, enti etc.) Ciascuna modalità offre vantaggi e svantaggi. L’open access necessita un costo per il ricercatore ma offre una maggiore visibilità essendo il risultato accessibile subito a chiunque ed on-line. Nel secondo caso, poiché l’editore guadagna solo se l’articolo viene scaricato e suo interesse pubblicizzarlo ma per lo stesso motivo l’editore potrebbe non avere interesse ad un articolo che non pensa avrà rilevanza in ambito scientifico. Per questo motivo, di solito è più facile pubblicare sulle riviste open access rispetto alle altre.

La revisione paritaria è un processo attendibile per convalidare un lavoro scientifico? Non sempre. La soggettività dei recensori non è completamente eliminabile. Questi vengono influenzati positivamente e negativamente da diversi fattori estranei alla qualità del materiale da esaminare tra i quali: sopravvalutazione di autori noti o “protetti” da istituzioni prestigiose, differenze geografiche, conflitto di interesse, appeal mediatico di uno studio, piuttosto che alla sua reale rilevanza scientifica e non ultimo falsificazione dei risultati dei lavori, pur di ottenere una pubblicazione. Inoltre non va sottovalutata la presenza di interessi economici, in particolare per la proliferazione delle riviste Open Access, che sono nate per l’esigenza di fare fronte all’enorme mole di pubblicazioni in mano allo strapotere delle poche riviste storiche, spesso legate ad oligarchie intellettuali. Le Open Access aumentate di numero e in concorrenza tra loro hanno modificato il sistema della pubblicazione rendendolo anche un grosso affare commerciale che può andare a discapito della qualità del controllo.

In ogni caso, dopo questa prima fase di comunicazione scientifica più o meno selettiva e rigorosa che sia, inizia la seconda fase in cui l’intera comunità scientifica può avviare successive verifiche da parte di altri ricercatori per confermare i risultati ottenuti e pubblicati o per confutare ed evidenziare eventuali anomalie in quei risultati. Questo secondo passaggio è fondamentale in quanto il primo si limita in genere a valutare in modo molto ristretto (due o tre giudizi con i limiti evidenziati) solo alcuni aspetti sostanziali e formali di scientificità mentre il secondo estende la valutazione ad una platea più ampia che confermerà e convaliderà o i risultati attraverso la ripetizione degli esperimenti. Si tratta di una fase i cui tempi sono ancora più variabili e che può durare poco o moltissimi anni e può anche non concludersi o concludersi solo parzialmente. In termini molto pragmatici ciò che da il senso dell’approvazione di un articolo è rappresentato dal numero di volte che viene scaricato e dalle citazioni che ne conseguono. Infine, in un terreno neutro si colloca la comunicazione scientifica che utilizza nuovi canali, ad esempio atti di conferenze, archivi aperti (Research Gate) e home page. La valutazione di questo tipo di comunicazione non indicizzata non è facile. Avviene di solito in settori in cui le riviste tradizionali non riescono a stare dietro al tasso di crescita della comunicazione scientifica.

Divulgazione Scientifica

Parallelamente alla comunicazione può avvenire l’attività di divulgazione scientifica che trasmette gli stessi risultati in forma accessibile e comprensibile ad un pubblico più ampio di non addetti ai lavori. In passato questa azione era svolta da poche riviste le più famose delle quali sono Scientific American nata nel 1845 come settimanale, che aveva come obiettivo quello di segnalare le invenzioni tecnologiche dell’epoca e National Geographic Magazine nata nel 1888 quando la National Geographic Society decise di dotarsi di un organo di stampa, per diffondere le conoscenze geografiche possibili grazie ai numerosi viaggi dell’epoca. Questo tipo di divulgazione prima limitato ad un numero ristretto di appassionati oggi si è ampliata enormemente utilizzando media tradizionali (interviste, TV, radio) e nuovi media (giornali on line, pagine internet, blog, canali social). Oggi e’ molto diffusa la divulgazione ed il commento di risultati scientifici appena pubblicati come approfondimenti, articoli, “notizie/news” su questi circuiti di informazione.

Offerta troppo vasta

L’avvicinamento alle tematiche scientifiche operato dalla divulgazione è un fenomeno positivo ma può generare anche qualche problema. Moltissimi non addetti ai lavori confondono la comunicazione scientifica con la divulgazione. In genere al divulgatore è sufficiente che la ricerca sia stata pubblicata su una rivista scientifica peer reviewed senza porsi il problema della reale valenza del lavoro, se possa considerarsi conclusivo o meno e della risposta da parte della comunità scientifica. Come abbiamo visto, la comunicazione di un risultato scientifico invece è un processo in più fasi in cui il ricercatore si sottopone alla verifica nei tempi e nei modi propri del metodo.

La divulgazione invece è un processo di semplificazione ed avviene a senso unico in quanto non essendo rivolta alla comunità scientifica non ha la funzione di generare il dubbio e quindi la verifica ma al contrario di stabilire punti certi nel lettore.

E’ facile che qualcosa che si percepisca come certezza venga trasformato in una vera e propria ideologia. Allo stesso tempo, il crollo di una certezza genera la sfiducia. L’uomo comune non può concepire che la scienza proceda per errore, se quindi la divulgazione fornisce dati scientifici contrastanti pensa che dietro vi sia un complotto. Allo stesso tempo irride scienziati autorevoli che mostrano di avere opinioni diverse su temi irrisolti senza rendersi conto che questo è esattamente ciò che fa avanzare la scienza. Lo squilibrio tra comunicazione e divulgazione in genere si colma lasciando che la ricerca progredisca nei suoi tempi in modo da sedimentare.

Propaganda Scientifica

Visualizza immagine di origine

L’uso deliberato della Scienza come strumento di propaganda è stato teorizzato da John Hill, un grande comunicatore americano. Hill sosteneva appunto che *“la scienza è uno strumento molto potente, nel quale le persone hanno fiducia. Non la si può attaccare direttamente. Bisogna procedere diversamente. Bisogna quindi appropriarsi della scienza stessa, orientarla, metterla nelle nostre mani”.

La propaganda scientifica può agire sia nell’ambito della comunicazione che in quello della divulgazione. Nel primo caso può intervenire in vari modi all’interno del processo sopra descritto.

1) Il primo modo è quello di controllare finanziariamente la ricerca accademica, si possono così produrre articoli scientifici non conclusivi o indirizzati ad un obiettivo secondario con la sola funzione di creare una sorta di fuoco di sbarramento per studi scientifici contrari o che tendono verso altri obiettivi più importanti. Questo modo di procedere in passato è avvenuto spesso da parte di grosse multinazionali per interessi economici ma oggi avviene anche per creare consenso su determinate scelte da parte del sistema politico usando finanziamenti pubblici.

2) Il secondo modo per strumentalizzare la scienza è quello di creare agenzie, organismi, enti, panel formati da “esperti” con la funzione di filtrare e selezionare la comunicazione scientifica/divulgazione verso i mass-media in modo controllato. Si creano così rapporti, video, comunicati, notizie, tavole rotonde, interviste, congressi, etc con il solo scopo di gestire la ricerca scientifica ed orientarla in modo specifico per taluni obiettivi. Come nel primo caso, queste strutture possono essere create per indirizzare la ricerca sia per fini politici che per interessi economici. Si tratta di strutture di controllo con un grosso potere mediatico molto difficili da contrastare sul piano scientifico per un singolo ricercatore. La selezione della dirigenza operata in questi organismi non è più basata solo su criteri meritocratici ma soprattutto in modo tale da garantire il controllo del sistema della ricerca. I ricercatori in queste strutture non sono più indipendenti e tanto meno liberi di esprimere valutazioni imparziali o fuori dalla linea politica senza rischiare di essere fortemente penalizzati.

3) Un terzo modo è quello di usare la metodologia scientifica stessa. Si attacca cioè uno studio scientifico, usando il metodo. Se un lavoro scientifico è solido, lo si riproduce in modo tale che i risultati sembrino poco convincenti. Ai dubbi, fanno seguito i commenti tecnici, per sopraffare il lavoro scientifico dei colleghi. Un po’ sul modello del diritto di risposta nell’ambito della stampa. Questo come abbiamo visto é un processo normale e corrente nella procedura scientifica ma usato in modo improprio, ha effetti devastanti perché distrugge il metodo della comunicazione scientifica alla base minando la credibilità di qualsiasi opposizione attraverso una sorta di “conventio ad excludendum”.

Molto più semplice ma altrettanto efficace è agire nell’ambito del processo divulgativo che per estensione raggiunge una platea molto più estesa. Come abbiamo visto la divulgazione scientifica procede in parallelo con la comunicazione ma senza preoccuparsi molto della differenza tra una teoria e una legge scientifica. Questa dimenticanza non è sempre voluta. Il divulgatore trasmette lo stato della conoscenza attuale e non è tenuto a ribadire o a rimarcare questa differenza. Ma c’è un problema, il divulgatore che agisce nell’ambito della comunicazione mostra spesso un risultato si scientifico ma parziale, non definitivo ne conclusivo.

Quando nella comunicazione e nella divulgazione scientifica si innesta un azione di propaganda entriamo in un terreno minato che può produrre risultati ed effetti pericolosi ed imprevisti.

Un esempio abbastanza recente è quello dell’epidemia del Covid19. Nell’emergenza si è visto un mondo scientifico all’opera secondo i mezzi, i tempi e le risorse proprie muoversi in modo coerente seguendo i passi sopra elencati. L’ultimo passo quello della comunicazione dei risultati alla comunità scientifica si è trovato tra l’incudine di tempi limitati per questa azione e il martello della richiesta di una divulgazione immediata da veicolare all’opinione pubblica. La divulgazione scientifica è stata trasformata in uno strumento di propaganda riducendo un dibattito scientifico serio sull’epidemia e sui vaccini in slogan vax / no vax.

Un secondo esempio di scottante attualità è il riscaldamento globale di origine antropica. Da un punto di vista scientifico si tratta di una teoria ovvero di un ipotesi che dovrebbe/potrebbe giustificare delle osservazioni sperimentali ma che non ha raggiunto quel livello di verifica che le permetterebbe di passare allo stato di legge scientifica. Non esiste per quanto analizziamo la letteratura scientifica una legge del riscaldamento globale di origine antropica.

Vengono pubblicati molti lavori ma nessuno dimostra in modo scientifico l’ipotesi di partenza. In questo caso le previsioni sono essenzialmente affidate a modelli che tuttavia vengono confutati da osservazioni successive. Questo non significa che sia vero il contrario ma che è necessario aggiungere nuovi dati e nuove osservazioni oppure formulare modelli diversi. Siamo di fronte ad fenomeno scientifico abbastanza complesso non riproducibile in laboratorio che avviene in una scala temporale ampia ed è influenzato da molte variabili solo alcune delle quali di origine antropica. Del resto proprio il fatto che il fenomeno continui ad essere analizzato è la dimostrazione più tangibile dell’insufficienza delle ipotesi formulate per la sua spiegazione. L’aumento della temperatura (e la sua diminuzione) è già avvenuto in passato per cause non antropiche e può essere correlato a diversi fattori ma non in modo univoco. Queste osservazioni tuttavia non dimostrano che le cause antropiche non abbiano effetto. Ci sono molti altri esempi di ricerche scientifiche che si trovano in questa situazione. Tutto ciò non rappresenta per il mondo scientifico un problema, anzi è la normalità. Il fatto che una ipotesi, una teoria non sia stata ancora dimostrata rende necessari ulteriori approfondimenti nella raccolta ed elaborazione dei dati. Quanto può durare questo processo? Impossibile dirlo con esattezza, mesi, anni, decenni, finché uno o più esperimenti fondamentali e riproducibili smentiscano o avvalorino le ipotesi iniziali. Collegato a questo problema in questo momento è il dibattito sulla produzione e l’uso dell’idrogeno. In generale non esiste un articolo scientifico sulla produzione e l’uso dell’idrogeno che non inserisca nella parte introduttiva la sua giustificazione nell’ambito del problema più ampio del riscaldamento globale.

L’analisi del problema del riscaldamento globale e dell’uso dell’idrogeno si trasforma da problema scientifico a problema politico/sociale di conseguenza la comunicazione scientifica viene soppiantata dalla divulgazione che in breve si trasforma in propaganda ed anche qui si formano le tifoserie global warming/negazionisti, combustibili fossili/idrogeno.

In questi casi di solito prevale chi sa usare e gestire meglio la comunicazione/propaganda e non è sempre detto che questo porti alla soluzione del problema. In realtà spesso la situazione si complica perché una comunicazione pilotata o distorta alimenta speranze e crea aspettative o ingiustificati allarmismi nell’opinione pubblica la quale si rivolge alla politica che in genere sotto questa pressione mediatica finisce per prendere decisioni sbagliate alimentando ulteriormente la ricerca scientifica nella direzione indicata dalla comunicazione/propaganda. E’ un problema molto serio che paralizza la società in quanto le toglie la possibilità di usare al meglio proprio quel metodo che in passato le ha fornito il miglior modo di analizzare la realtà fisica.

In questo schema gli scienziati hanno le loro colpe? Probabilmente le hanno. Gli scienziati prima di essere tali sono uomini con tutti i loro limiti. Hanno capito che, per ottenere un maggior credito (risorse, finanziamenti, riconoscimenti, etc), è necessario saper divulgare in modo semplice ed accattivante i loro studi in modo tale da attrarre l’interesse anche della gente comune. Per questo motivo, in genere, essi cercano di collocare sempre uno studio scientifico nell’ambito di un contributo alla soluzione di un problema sociale di ampia scala (inquinamento, malattie, consumi, etc) che aspetta di essere risolto. La ricerca scientifica necessità di molte risorse economiche, attraverso le risorse si costruiscono carriere, si elargiscono finanziamenti, si ottengono consensi che a loro volta la alimentano. Molti istituti, università, centri di ricerca pubblici svolgono una duplice azione. Oltre quella nobile di svolgere l’attività scientifica preposta, anche quella un po’ meno nobile di agevolare una divulgazione che funga da mezzo di trasmissione consentendo di ottenere loro maggiori risorse economiche. L’attività di divulgazione diventa così un attività di propaganda con scopi precisi. Questo è un grosso problema in quanto gli stessi soggetti che fanno scienza ed esercitano la funzione di verifica scientifica sono quelli che veicolano la divulgazione che produce consenso sociale/politico. Assistiamo così ad una sorta di corto-circuito in cui comunicazione e divulgazione sono in mano agli stessi soggetti. Se tutto questo non impedisce alla scienza di muoversi secondo il suo ben collaudato modus operandi, allo stesso tempo tuttavia la influenza in modo pesante a diversi livelli, rallentandola, limitandola, distraendo risorse o focalizzandole solo su alcuni problemi. La scienza in questo modo perde l’elemento fondamentale che è quello di nutrirsi proprio del dubbio esercitato in modo indipendente ed autonomo. Purtroppo, questa situazione ha altre ripercussioni alimenta un sistema corruttivo, lobbistico in cui la ricerca scientifica mossa dalla propaganda diventa un grosso affare che muove interessi ma non riesce più a risolvere i problemi dell’umanità.

Senza avere la pretesa di risolvere in questo breve articolo una tematica così complessa, preme fare osservare che la confusione generata dalla sovrapposizione tra comunicazione e divulgazione scientifica e la possibilità di innestare su entrambe metodi di propaganda, sta producendo due fenomeni dannosi, Da una parte, un uso della scienza in una forma demagogica in cui tutti sono esperti e nessuno lo è per davvero, dall’altra l’ostracizzare la scienza che non è più considerata lo strumento più valido per analizzare la natura dei fenomeni.

Cosa fare? Intanto si potrebbe cominciare, riformulando il pensiero di Mr. Hill…

…La scienza è uno strumento molto potente, nel quale le persone hanno fiducia. Non la si deve attaccare, bisogna lasciare che proceda secondo il suo metodo, smettere di appropriarsene per orientarla a fini diversi dal bene dell’umanità…

*Stéphane Foucart, La fabrique du mensonge : comment les industriels manipulent la science et nous mettent en danger, Paris, Denoël, 304 p.