Gas Wars – Le Guerre del Gas

Questa analisi geopolitica sulle forniture di gas all’Europa, scritta a Settembre del 2015, chiarisce il retroscena e le responsabilità dell’attuale guerra tra Russia ed Ucraina e le ripercussioni per l’Europa.

Introduzione.

“Cui Prodest?”, dicevano i latini. “A chi giova?”, chi ha interesse perché la situazione sia e permanga tale. Ci chiediamo costantemente la causa e la finalità delle guerre che stanno devastando il Medio Oriente come anche di quella che contrappone Filo-Russi ed Ucraini in Europa. La risposta più banale è quella di contrapposizioni legate al nazionalismo, al fanatismo religioso ma se ci ponessimo l’utile domanda “Cui Prodest?” forse arriveremmo ad una conclusione diversa. In questo articolo tenteremo di rispondere al quesito analizzando semplicemente come questi conflitti possano modificare la produzione e la distribuzione del gas naturale. In questo modo, evidenzieremo che più che di guerre religiose o indipendentiste, questi conflitti nascondono enormi interessi economici. Si tratta di una vera e propria guerra del gas.

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Le vie del gas non sono infinite.

La produzione del gas naturale e la sua distribuzione rappresentano fattori determinanti per la stabilità geopolitica. Per comprendere quello che sta accadendo in Medio Oriente ed in Ucraina in questo momento è necessario capire bene il panorama della produzione e distribuzione del gas naturale verso l’Europa che rappresenta il maggior consumatore di gas proveniente da queste aree di produzione o di transito. La Tabella 1 mostra indicativamente i consumi di gas naturale dei Paesi UE dal 1995 al 2011.

 

Secondo i dati riportati da Eurogas, nel 2014 nella UE sono stai consumati 409 miliardi di metri cubi di gas naturale. Allo stato attuale l’Europa si rifornisce di gas naturale acquistandolo da diversi paesi in prevalenza Russia, Algeria, Libia, etc. In Europa il gas arriva da tre nodi principali: il Nord Africa (Algeria e Libia), la Russia (da cui passa anche quello asiatico) e la parte settentrionale del vecchio continente (sull’asse Mare del Nord/NorvegiaOlanda). Dal Nord Africa partono 4 gasdotti: il Transmed (capacità 35 mld m3/anno), che collega l’Algeria all’Italia (Mazara del Vallo) attraverso la Tunisia; il Greenstream (capacità 11 mld m3 /anno) che collega la Libia all’Italia (Gela); il Transmaghreb (capacità 12 mld m3/anno), che collega l’Algeria alla Spagna attraverso il Marocco e, infine, il Medgas, che collega direttamente l’Algeria alle coste spagnole (capacità 8 mld m3/anno). In totale dall’Africa possono arrivare fino a circa 65 mld di m3/anno

E’ in fase di realizzazione il Galsi un gasdotto che dovrebbe collegare Algeria a Sardegna e da qui arrivare poi a Piombino (Fig. 1). Esiste inoltre una rete di gasdotti nel mare del Nord (Langeled Gas Pipeline) che collega Norvegia, Inghilterra e Olanda (capacità 26 mld m3/anno). Infine, l’Europa centrale è attraversata dai gasdotti Tenp e Transitgas (capacità 16 mld m3/anno) che dall’Olanda, attraverso la Germania, portano gas di produzione olandese e del Mare del Nord in Svizzera e Italia (Passo Gries). La Fig. 1 mostra una mappa delle principali infrastrutture di trasporto del gas in Europa. Come si vede, oltre i gasdotti esistono anche un certo numero di terminali di ri-gassificazione che consentono l’approvvigionamento attraverso navi metaniere che trasportano il gas naturale in forma liquida. I gasdotti in arrivo dalla Russia (Fig. 2) sono altrettanti: il Nord Stream (capacità 22,5 mld m3/anno), inaugurato nel 2011 e lungo 1.224 km. La capacità di trasporto di questo gasdotto è in realtà di 55 mld di m3/anno ma al momento gli accordi con la UE prevedono una limitazione nelle forniture da parte di Gazprom. Questo gasdotto collega la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico; lo Yamal (capacità 33 mld m3/anno), che dalla Russia percorre quasi 4.200 km attraverso Bielorussia e Polonia per arrivare in Germania; il Tag (capacità 41 mld m3/anno), che passa attraverso Austria, Italia (Tarvisio) e Slovenia, il Blue Stream (capacità 14 mld m3/anno), che trasporta gas naturale alla Turchia attraverso il Mar Nero ed infine, il West Gas Stream (16 mld m3/anno) che raggiunge sempre la Turchia passando attraverso Ucraina, Romania e Bulgaria.

Dall’Asia centrale arrivano in Turchia due ulteriori gasdotti: il gasdotto BTE (BakuTblisi-Erzurum) (Fig. 3) anche noto come South Caucasus Pipeline (capacità 8,8 mld m3/anno), che trasporta il gas dal campo di Shah Deniz in Azerbaijan fino in Turchia passando per la Georgia (il BTE procede parallelo ad un oleodotto, il Baku– Tbilisi–Ceyhan). Il gasdotto è lungo 700 km ed è gestito da un consorzio di cui fanno parte la British Petroleum (UK) al 28.8 %, la SOCAR (Azerbaijan) al 16.7 %, la Statoil (Norvegia) al 15.5 %, la Total (Francia), la Lukoil (Russia), e la National Iranian Oil Company tutte al 19% ed infine la Turkish Petroleum con il 9% delle azioni. Il secondo gasdotto è quello tra Iran e Turchia il gasdotto Tabriz–Ankara (capacità 14 mld m3/anno) lungo 2.577 km da Tabriz nel Nord Ovest dell’Iran ad Ankara in Turchia. Questo gasdotto, data la sua posizione, è stato più volte colpito dai militanti del partito curdo di azione (PKK).

Come abbiamo visto le vie del gas verso l’Europa non sono infinite. Analizziamo ora caso per caso le problematiche di natura geopolitica legate ai vari gasdotti.

La roulette del gas russo.

Per quanto riguarda le forniture di gas dalla Russia è importante sottolineare che, il rapporto di scambio e cooperazione Russia – Unione Europea è secondo l’analisi di George Friedman, politologo USA, il principale elemento che impensierisce gli Stati Uniti. Recentemente Friedman, nel corso di una conferenza presso il Chicago Council of global affairs in occasione della presentazione del suo ultimo libro, Europe – Destined for Conflict?, ha affermato che: “I e II guerra mondiale come anche la guerra fredda sono nate dal timore per gli Stati Uniti di un alleanza forte tra Germania e Russia in quanto tale alleanza è l’unica che può minacciare l’imperialismo americano”.

L’attuale politica americana consisterebbe dunque secondo Friedman nello stringere un cordone sanitario intorno alla Russia limitando al massimo gli spazi di manovra e di scambio con l’Unione Europea e con la Germania che ne rappresenta il motore. La situazione Ucraina, sempre secondo Friedmann, sarebbe intimamente legata a tale politica. Il gasdotto Transgas proveniente dalla Russia attraversa proprio l’Ucraina ed alimenta diversi paesi europei (Fig. 4). Inoltre, una parte del gasdotto russo che alimenta il Blue Stream verso la Turchia entra in Ucraina da Voronez e passando attraverso le regioni ucraine al confine orientale della Russia rientra in territorio russo a Rostov. Il controllo di quest’area è dunque cruciale per poter inviare il gas dalla Russia direttamente in Turchia senza ostacoli da parte di alcuno. Questo spiega chiaramente l’origine dell’ingerenza russa rispetto alle regioni separatiste di Donetsk e Luhansk. A George Friedman fa eco William Engdahl, consulente di rischio strategico e docente universitario, laureato in scienze politiche alla Princeton University e autore di vari best-seller sul petrolio e la geopolitica che in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook” ha tracciato un quadro geopolitico molto chiaro della politica russofoba di Obama e di alcuni paesi UE in rapporto alle forniture di gas. Engdahl, riferendosi alle sanzioni economiche verso la Russia le definisce “il ricatto di Washington” imposto alla UE.

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Il conflitto Ucraina-URSS sembra creato ad arte dagli Stati Uniti allo scopo di limitare la capacità di fornitura della Russia all’Europa o quanto meno di controllarla. Facendo leva sul nazionalismo ucraino gli USA hanno fatto fuori la leadership ucraina fedele a Mosca. La risposta Russa è stata prima di tutto l’annessione della Crimea che potrebbe rappresentare un punto di ingresso in Europa alternativo al passaggio sul suolo Ucraino e, secondo, l’appoggio all’indipendenza delle regioni orientali attraverso cui già passa il gasdotto russo che alimenta il Blue Stream verso la Turchia. L’escalation della crisi ucraina ha un antefatto legato alla progettazione di un nuovo gasdotto russo il South Stream, che avrebbe dovuto by-passare l’Ucraina e connettere direttamente Russia ed Unione europea, eliminando ogni Paese extra-comunitario dal transito (Fig. 5). Questo gasdotto era un progetto sviluppato congiuntamente da Eni (Italia), Gazprom (Russia), EDF (Francia) e Wintershall (Germania).

Il tracciato era diviso in due grossi tronconi, la sezione offshore nel Mar Nero e quella su terra. Il tratto nel Mar Nero sarebbe stato lungo circa 900 km ed in alcuni punti sarebbe arrivato alla profondità di -2.250 m; non era stato ancora fissato il tragitto preciso che, tuttavia, probabilmente doveva partire dal porto russo di Beregovaya fino ad arrivare a quello bulgaro di Varna. Il tratto continentale non era stato ancora determinato ed erano allo studio due diverse linee. Una era prevista dentro la penisola Balcanica, e da qui verso l’Austria, mentre l’altra era prevista verso l’Italia, passando per la Grecia ed il canale di Otranto. Sebbene non esistevano ancora né accordi intergovernativi con l’Austria né accordi commerciali con la principale compagnia austriaca, la OMV, un importante tassello verso la realizzazione del gasdotto era stata l’acquisizione da parte di Gazprom del 50% della società che controlla l’hub gasifero di Baumgarten, possibile punto di approdo del braccio nord del South Stream. La capacità del gasdotto inizialmente prevista era di 31 miliardi di metri cubi all’anno; successivamente, con la firma del secondo addendum al memorandum di intesa, sarebbe stata raddoppiata arrivando a 63 miliardi di m3/anno. Sebbene lo studio di fattibilità non fosse stato ancora terminato, le prime stime sul costo totale del progetto erano progressivamente cresciute fino a toccare la cifra di 19-24 miliardi di euro. L’Italia era fortemente interessata al progetto South Stream. Malgrado gli accordi esistenti tra Russia e tutte le nazioni interessate al progetto (Italia, Bulgaria, Grecia, Serbia, Slovenia, Austria, Turchia), la crisi Ucraina ha di fatto bloccato quel progetto. La Bulgaria si è incredibilmente opposta al passaggio del gasdotto benché la maggioranza dei bulgari fossero favorevoli. La giornalista Szilvia Batkov ha scritto che: “l’opinione generale tra i bulgari è che la Bulgaria e la sua gente siano stati usati semplicemente come “pedine” nel gioco degli scacchi della UE/USA contro gli interessi del gas russo”. In seguito al mancato permesso da parte del governo bulgaro per il passaggio delle condutture gasifere sul proprio territorio e alle divergenze con l’Unione europea (dovute principalmente alle sanzioni occidentali riguardo il ruolo della Federazione nella guerra dell’Ucraina orientale), Putin ha annunciato il ritiro della Federazione Russa dal progetto energetico, e la rinuncia (ufficialmente solo sospensione a tempo indeterminato) alla realizzazione del gasdotto South Stream. La decisione è stata palesata il 1º dicembre 2014 nel corso di una conferenza stampa con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. In quell’occasione però Putin ha proposto un’alternativa che avrebbe incanalato il gas russo attraverso la Turchia per arrivare alla soglia della Grecia, membro UE, dove vari stati europei avrebbero potuto “prenderselo o lasciarlo lì”. Il vantaggio per Gazprom e per la Russia era che non sarebbero stati responsabili per la costruzione dei necessari gasdotti nell’UE. Quando annunciò la decisione, Putin affermò apertamente: “Se l’Europa non lo vuole realizzare, significa che non verrà realizzato. Indirizzeremo il flusso di energia verso altre regioni del mondo. Non abbiamo ottenuto i permessi necessari dalla Bulgaria, perciò non possiamo continuare con il progetto. Non possiamo impegnarci in tutto l’investimento per poi venire fermati al confine bulgaro. Ovviamente, questa è la scelta dei nostri amici in Europa.” Più chiaro di così si muore. Nel contempo, il Cremlino ha comunicato l’applicazione ad Ankara di uno sconto di circa il 6% sulle forniture energetiche dal 2015. Ora, meno di sei mesi dopo questo annuncio, Russia e Turchia hanno concluso un accordo per cominciare le consegne di gas di Gazprom tramite un nuovo “Turkish Stream” ora in costruzione, l’AD di Gazprom Alexei Miller il 7 maggio ha infatti annunciato che: “Si è raggiunto un accordo per l’inizio dello sfruttamento e delle consegne di gas [russo]attraverso il Turkish Stream nel dicembre del 2016.” La dichiarazione ha fatto seguito all’incontro di Miller con il ministro turco per l’energia e le risorse naturali, Taner Yildiz. Il nuovo gasdotto dovrebbe viaggiare attraverso la Turchia fino a uno snodo sul confine turco-greco, per venire poi distribuito ai clienti europei. La capacità del Turkish Stream sarà di 63 miliardi di metri cubi.

 

Mamma il Gas Turco. La crisi ucraina nelle intenzioni di Washington avrebbe dovuto impedire il potenziamento della rete gas dalla Russia attraverso la fine del progetto South Stream. In alternativa, si sarebbero dovute concretizzare nuove possibilità di approvvigionamento provenienti da altre zone dell’Asia attraverso la Turchia.

La più importante di queste alternative dovrebbe essere il Nabucco, un rete di gasdotti che dall’Azerbaijan attraverso la Georgia e la Turchia arriverebbe in Europa (Fig. 7). Si tratta del cosiddetto “Southern Gas Corridor”, un gasdotto di 3500 km che dovrebbe collegare il gigantesco campo di gas di Shah Deniz in Azerbaijan all’Europa. E’ stato ipotizzato un ulteriore allungamento di questo corridoio attraverso la costruzione del gasdotto Trans Caspian che passando sotto il Mar Caspio dovrebbe collegare Turkmenistan e Kazakistan all’Unione Europea bypassando sia la Russia che l’Iran. Questo progetto è fortemente osteggiato sia dall’Iran che dalla Russia ed allo stato attuale non appare molto praticabile in quanto il Mar Caspio è un mare chiuso che bagna Iran, Russia, Azerbajan e Turkmenistan e la cui suddivisione territoriale è incerta. Il progetto attuale del “Southern Gas Corridor” prevede il collegamento di tre gasdotti (Fig. 8), il South Caucasus Pipeline (SCP) la cui capacità dovrebbe essere incrementata dagli attuali 8 a 25 mld m3/anno e che attraversa Azerbaijan e Georgia. Il Trans Anatolian Pipeline (TANAP) che attraverserebbe la Turchia per 2000 km (16 mld m3 /anno) dal confine con la Georgia fino al confine greco ed infine il Trans Adriatic Pipeline (TAP) attraverso Grecia, Albania ed Italia (10 mld m3/anno). La differenza di capacità tra TANAP e TAP verrebbe assorbita dalla Turchia per il consumo interno. Il progetto è strategico per Azerbaijan e Turchia. Permetterebbe all’Azerbaijan di esportare in Europa ed alla Turchia di diventare un nodo regionale del trasporto del gas. La costruzione iniziata formalmente nel Marzo 2015 dovrebbe terminare nel 2018. Nabucco, infatti, porterebbe il gas dalle regioni del Caucaso e del Mar Caspio senza transitare dal territorio russo. Questo progetto aiuterebbe i paesi europei a non essere dipendenti da Mosca come prevede l’agenda USA e, infatti, è stato voluto dall’UE nell’ottica di diversificare le fonti di approvvigionamento. Molto dipenderà, comunque, dalle politiche che verranno attuate nell’area e in Medio Oriente. Nabucco, a differenza di South Stream è appoggiato dunque degli Stati Uniti in funzione Anti-Russa.

Va precisato che, il progetto Nabucco inizialmente prevedeva due gasdotti per il collegamento con l’Europa. Il gasdotto Nabucco-Ovest (anche noto come gasdotto Turchia–Austria) (Fig. 8). Questo gasdotto avrebbe dovuto trasportare il gas dal confine Turchia-Bulgaria al confine con l’Austria passando attraverso paesi UE (Bulgaria, Romania, Ungheria). Tuttavia questo progetto è stato accantonato nel 2103 privilegiando la costruzione del secondo ramo il sopracitato gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline). Questo gasdotto partirà in prossimità di Kipoi, al confine tra Grecia e Turchia, dove si collegherà al Trans Anatolian Pipeline (TANAP).

Proseguirà quindi sulla terra ferma, attraversando la Grecia Settentrionale, nel suo tratto più lungo, muovendo in direzione ovest attraverso l’Albania fino ad approdare sul litorale Adriatico. Il tratto sottomarino inizierà in prossimità della città Albanese di Fier e attraverserà l’Adriatico per connettersi alla rete italiana di trasporto del gas in Salento. TAP si snoderà lungo circa 870 chilometri (di cui 545 chilometri in Grecia; 211 chilometri in Albania; 105 chilometri nell’Adriatico e 8 chilometri in Italia). Toccherà la massima altitudine a 1800 metri tra i rilievi albanesi e la massima profondità a 820 metri sotto il livello del mare.

In Grecia il gasdotto sarà lungo 545 chilometri circa, partendo da Kipoi al confine con la Turchia, per terminare al confine con l’Albania, a sud ovest di Ieropigi. In Albania il gasdotto sarà lungo 211 chilometri circa, partendo da Bilisht Qendër nella regione di Korça, al confine con la Grecia, per approdare a 17 chilometri a nord ovest di Fier, fino a 400 metri verso l’entroterra rispetto alla linea di costa. Il tratto sottomarino nelle acque territoriali albanesi misurerà circa 37 chilometri. Nell’attraversamento dell’Adriatico il gasdotto percorrerà circa 105 chilometri di fondali dalla costa albanese a quella italiana. TAP approderà in Salento, nel comune di Melendugno, in prossimità di San Foca. La condotta sottomarina attraverso le acque territoriali italiane misurerà circa 25 chilometri, mentre il tratto sulla terra ferma 8 chilometri.

La scelta della localizzazione del punto di approdo e del tracciato a terra è stata fatta tra diverse alternative, al fine di individuare la più idonea sotto il profilo ambientale, sociale e della sicurezza. Come si vede dal quadro esposto, la tesi di Friedman è dimostrata. L’interesse europeo sul gas non può prescindere dall’interesse USA che non vede di buon occhio un’alleanza Europa-Russia. In questa guerra del gas è prioritario controllare le vie di accesso verso l’Europa.

Per l’amministrazione americana i gasdotti dalla Russia devono essere limitati o perlomeno devono passare attraverso paesi “alleati” come la Turchia. Tuttavia, la Turchia per quanto membro della Nato ed alleato storico degli USA, molto disinvoltamente stringe accordi con tutti (Russia, Iran, etc). La Turchia del resto rappresenta il punto di passaggio obbligato dalla Russia stessa, dal Medio Oriente e dal Mar Caspio. Se dovesse scoppiare una guerra del gas la Turchia sarebbe il punto massimo di attrito tra gli interessi USA, Russia ed Unione Europea.

In Medio Oriente stat gas.

Vediamo ora la situazione in Medio Oriente, anche in questo caso, l’analisi dei gasdotti aiuta a comprendere le questioni politiche in gioco. Come premessa a quanto verrà detto è importante considerare che, in Medio Oriente, l’Iran ed il Qatar insieme hanno risorse dimostrate di gas naturale pari a 58.000 mld di metri cubi. La Russia da sola raggiunge i 44.000 mld di metri cubi. Le ex repubbliche russe Azerbaijan, Turkmenistan, etc, tutte insieme raggiungono i 25.000 miliardi di metri cubi. Le vie del gas come abbiamo già detto non sono infinite ed il Medio Oriente sicuramente è una di quelle.

Premesso ciò, la rivoluzione in Libia e il successivo sgretolamento dello stato libico con l’ascesa dell’ISIS hanno reso molto instabile la fornitura di gas dal Green Stream libico. Anche in questo caso lo zampino della diplomazia USA è stato evidente, controllare le vie del gas o destabilizzarle significa in qualche modo avere il controllo dell’Europa.

Veniamo ora alla guerra in Siria, anche in questo caso è interessante collegare i fatti che avvengono con i gasdotti esistenti e/o in progettazione.

Oltre il gasdotto già esistente tra Iran-Turchia da Tabriz ad Ankara, è stata valutata la possibilità di un gasdotto Persiano, anche noto come Pharsi Pipeline o gasdotto Iran–Europa. Si tratterebbe di un gasdotto ideato per trasferire il gas naturale del golfo Persico estratto dall’Iran ai mercati europei. Questo gasdotto dovrebbe consistere in due sezioni principali: la parte iraniana del gasdotto, anche detta, Iran Gus Trunkline 9 o IGAT-9, si estenderebbe da Assaluyeh trasportando il gas dai campi di gas nella Persia del Sud fino alla città di Barzargan al confine con la Turchia. Il gasdotto Persiano sarebbe considerato l’alternativa al gasdotto Nabucco per quanto riguarda la sezione proveniente dall’Azerbaijan (SCP) e, per alcuni, tale alternativa sarebbe una fonte più affidabile di gas ed un prerequisito per la costruzione di un gasdotto che il Nabucco non avrebbe, visto che le risorse del golfo Persico sono molto superiori a quelle provenienti dall’Azerbajan che da solo non potrebbe essere un alternativa al gas russo a meno di non realizzare l’improbabile Trans Caspian Pipeline di cui abbiamo accennato.

Si comprenderebbe a questo punto il perché dell’improvvisa fine dell’embargo USA all’Iran come anche lo sblocco delle trattative sul nucleare iraniano. Si tratterebbe di un alleanza in chiave anti russa. Infatti, la costruzione di un secondo gasdotto che alimenti l’Europa via Iran oltre o parallelo al Nabucco proveniente dall’Azerbaijan, significherebbe una drastica diminuzione del gas russo verso l’Europa. L’apertura degli USA all’Iran sembra quindi la risposta da parte dell’amministrazione USA, all’accordo Russia Turchia sulla realizzazione del gasdotto Turkish-Stream.  L’ipotesi di un gasdotto Iran-Turchia sembra avvalorata da alcuni fatti. La capacità attuale di importazione dei gasdotti turchi è pari a 46,6 mld di m3/anno. Tutti i gasdotti turchi hanno la clausola prendi o paghi negli accordi bilaterali di approvvigionamento. Questa clausola obbliga la Turchia ad effettuare pagamenti periodici di quantità definite sia che il gas venga consumato o meno. In sostanza, il pagamento del gas è indipendente dal consumo. La strategia turca fino ad oggi era stata quella di tentare di rinegoziare tale clausola con i fornitori. Tuttavia, a gennaio 2015 Turchia e Iran hanno siglato un accordo per raddoppiare le importazioni di gas dall’Iran da 10 a 20 mld di metri cubi a fronte di una riduzione del prezzo. La domanda sorge spontanea. Se la Turchia non era in grado di consumare il gas importato attualmente, cosa farà con tutto questo gas in eccesso? Appaiono tre possibilità: rivenderlo, stoccarlo oppure pagarlo senza consumarlo. La Turchia  può pensare di rivendere il gas iraniano soltanto all’Europa attraverso il TAP in costruzione. Se L’Europa e le sanzioni USA permetteranno alla Turchia di procedere, allora si scatenerà una guerra dei prezzi tra il gas Azero ed Iraniano e quello russo sul mercato europeo. Del resto la Turchia non sarebbe in grado di stoccare simili quantitativi di gas a meno di non costruire nuovi impianti di stoccaggio. Sembra infine assurdo che Ankara decida di pagare un gas che non consuma a meno di una scelta di forte alleanza con l’Iran. Qualunque sia la motivazione la Turchia deve aumentare la capacità attuale dei suoi gasdotti dall’Iran che possiedono un flusso massimo di 14 mld di m3/anno o costruire appunto un nuovo gasdotto tra Iran e Turchia.

Comunque vadano le cose, la parte Europea, dovrebbe sempre attraversare la Turchia, passando per la Grecia e l’Italia. Anche In Italia il gasdotto dovrebbe dividersi in due parti: sezione nord fino alla Svizzera, Austria e Germania e sezione sud verso la Francia e la Spagna. Non è chiaro se il gasdotto Trans-Adriatico (TAP) sarà parte di questo progetto. Lunghezza del gasdotto 3300 km, capacità 37-40 bilioni di metri cubi di gas naturale per anno. Costo della sola sezione iraniana 7 bilioni di dollari, lunghezza 1800 km, costituita da 17 stazioni di compressione. Sezione turca 660 km costo 1 bilione di Euro. La maggiore difficoltà è l’attraversamento di vaste aree montuose. I campi di produzione di gas dell’Iran si trovano al di sotto del golfo persico. Attualmente l’Iran produce circa 138 miliardi di metri cubi di gas che però vengono utilizzati quasi tutti per la domanda interna.

Gas Siriano o gas Siria no?

L’altro paese che dispone del gas proveniente dal Golfo Persico è il Qatar che esporta quasi completamente la sua produzione pari a 116 miliardi di metri cubi anno con un quantitativo di circa 95 miliardi di metri cubi. Il Qatar esporta il gas naturale liquefacendolo e poi attraverso navi metaniere fino agli impianti di ri-gassificazione europei (due in Italia). L’esportazione del Qatar sta aumentando anno per anno grazie agli impianti di liquefazione già esistenti: Qatar Gas 1 e Ras Gas 1 e agli impianti Qatar Gas 2 – 3 – 4 e Ras Gas 2 e 3 in corso di completamento. Quando tali impianti andranno a regime il Qatar sarà in grado di esportare gas liquefatto (GNL) per 80 miliardi circa di metri cubi all’anno. A questa cifra andrà ad aggiungersi la quantità di gas esportata in Pakistan oltre che a Dubai e in Oman mediante gasdotto.

Come abbiamo detto, i campi del golfo persico accessibili sia dall’Iran che dal Qatar, insieme hanno risorse dimostrate di gas naturale superiori a quelle russe o a quelle delle ex repubbliche russe (Turkmenistan, etc). Questo significa che la guerra del gas si sta combattendo lungo tre direttrici. Gasdotti provenienti dalla Russia, dalle ex repubbliche russe e dal golfo persico. Tra i paesi produttori di gas il Qatar è indicato come quello a maggiore potenzialità. E’ chiaro che la costruzione di un gasdotto verso l’Europa dal medio oriente sarebbe di enorme interesse strategico per gli USA se si volesse limitare l’importazione dalla Russia.

Allo scopo esistono varie ipotesi: il progetto del gasdotto Qatar-Turchia che dovrebbe portare il gas naturale del golfo persico fino alla Turchia dove dovrebbe poi collegarsi con il gasdotto Nabucco per rifornire gli Europei e la Turchia stessa. Una possibile via di tale gasdotto sarebbe attraverso Qatar, Arabia Saudita, Giordania e Siria ed una seconda via sarebbe Qatar, Arabia Saudita, Kuwait, Iraq.

Prima della guerra in Siria e dell’accordo sul nucleare iraniano esisteva però un secondo progetto, il gasdotto Iran-Iraq-Siria anche detto gasdotto Islamico. Anche questo gasdotto avrebbe dovuto collegare il campo Iranian South Pars attraverso Iran, Iraq, Siria e Libano dove poi liquefatto sarebbe stato trasportato in Europa. Il gasdotto sarebbe stato lungo 5600 km con un diametro di 142 cm. Questo gasdotto rappresentava un alternativa sia al gasdotto Pharsi e sia al Nabucco. Il 25 giugno 2011 a Bushehr, Iran, Iraq e Siria firmarono l’intesa per l’inizio della costruzione del gasdotto. Il giornalista Dmitrij Minin della Strategic Culture Foundation fece notare che la rivolta in Siria esplose quasi nello stesso momento della firma del memorandum di Bushehr riguardante la costruzione del nuovo gasdotto Iran-Iraq-Siria.

Qatar, Arabia Saudita e Turchia sono ovviamente ostili all’accordo sul gasdotto Iran-Iraq-Siria, in quanto li emarginerebbe come esportatori di gas e possibile corridoio energetico. La possibilità che un gasdotto Iran-Iraq-Siria possa esportare gas liquido nell’UE abbassando i prezzi rispetto al GNL degli USA viene anche vista negativamente a Washington. A ciò si aggiunge che il terminale di liquefazione in Siria sarebbe stato sotto il completo controllo della flotta russa nel mediterraneo.

Le motivazioni della guerra siriana legate a questi interessi strategici sono ben descritte nell’articolo di Nafeez Ahmed sull’edizione del giornale del The Guardian del 2013. Nello stesso articolo troviamo scritto che Assad rifiutò di firmare l’accordo con il Qatar per la realizzazione del gasdotto attraverso Arabia Saudita, Giordania, Siria e Turchia per rifornire l’Europa “per proteggere gli interessi del suo alleato Russo che è il principale fornitore di gas naturale dell’Europa”. I combattimenti in Siria e Iraq hanno sospeso il progetto, mentre il cambio di regime doveva annullarlo.

Nel 2014 Mahdi Darius Nazemroaya su Global Research fece osservare che la situazione in Siria, dove gli Stati Uniti deliberatamente distruggevano infrastrutture energetiche con la scusa di combattere il regime nascondeva anche altri aspetti. I giacimenti di gas naturale al largo della costa levantina tra Siria, Libano, Israele e Gaza detengono probabilmente grosse riserve di gas naturale. La recente scoperta dell’ENI di un grosso giacimento off-shore nel Mediterraneo orientale indica la possibilità di serie potenzialità estrattive in queste zone del mediterraneo. Questo elemento aggiunge peso all’ipotesi di una guerra del gas tra gli Stati Uniti e la Russia sul controllo delle riserve di gas nel Mediterraneo orientale. Alcuni elementi appaiono interessanti. Dal 2000, la società di costruzioni russa Strojtransgaz è attiva in Siria con contratti per la costruzione di due raffinerie di gas nella zona di Homs e per costruire la parte siriana dell’Arab Gas Pipeline tra Libano, Siria, Giordania ed Egitto. Un’altra società energetica russa, Sojuzneftegaz, ha ottenuto un appalto da Damasco per operare sul confine orientale con l’Iraq, nel 2004. Nel 2007, la Syria Gas Company (SGC) e la Strojtransgaz decisero di cooperare per sviluppare le riserve di gas naturale scoperte nel campo di Homs. Durante la crisi in Siria, Sojuzneftegaz ha siglato un importante accordo di esplorazione off-shore con Damasco, il 25 dicembre 2013.

Questi elementi insieme alle varie alternative circa la realizzazione di un gasdotto Iran-TurchiaQatar-Turchia o Iran-Iraq-Siria per lo sfruttamento del gas proveniente dal Golfo Persico, delineano l’effettiva causa dell’instabilità in Medio Oriente. Secondo il generale Wesley Clark ex segretario genereale della NATO il piano di destabilizzazione orchestrato dagli USA in Medio Oriente rientra nella più ampia strategia di controllo sulle risorse di gas (e petrolio) di queste zone.

Cui Prodest.

Il quadro che abbiamo tracciato lascia comprendere l’influenza ed il peso della produzione e distribuzione del gas naturale in rapporto alla situazione geopolitica in Medio Oriente ed in Ucraina.

Possiamo riassumere così gli aspetti principali:

  1. L’obiettivo degli USA è ridurre le esportazioni del gas russo verso l’Europa e la destabilizzazione e la loro arma nella guerra energetica in Ucraina e Medio Oriente
  2. La guerra in Ucraina ha raggiunto come primo scopo quello di impedire la costruzione del gasdotto South Stream dalla Russia.
  3. La guerra in Libia rende instabile la fornitura di gas dal Green Stream.
  4. La guerra in Siria e l’instabilità in Iraq hanno reso impossibile la realizzazione del gasdotto Iran-Iraq-Siria o l’alternativa del gasdotto Qatar-Arabia-Siria-Turchia.
  5. In alternativa la concessione al nucleare iracheno potrebbe forse rilanciare il gasdotto Pharsi rispetto a quello ormai irrealizzabile tra Iran-Iraq-Siria.
  6. In ogni caso la realizzazione di uno qualsiasi di questi progetti, limiterà nel lungo termine la fornitura del gas russo.
  7. Nel breve termine invece si apre per gli USA una ghiotta opportunità di poter vendere il surplus di shale gas che si avvia ad esportare dopo aver soddisfatto la propria domanda interna.

L’ultimo punto è il più preoccupante, ovvero che la politica di destabilizzazione USA miri esclusivamente alla fornitura di gas liquido. In un rapporto recente della UE leggiamo che: “È prioritario da un lato diversificare maggiormente i fornitori di gas naturale e dall’altro mantenere volumi di importazione sostanziosi da fornitori affidabili. Secondo le previsioni, nei prossimi anni il ruolo del GNL come importante fonte di diversificazione si confermerà e tenderà ad aumentare: nuove forniture di GNL dall’America settentrionale, dall’Australia e dal Qatar e nuove scoperte nell’Africa orientale amplieranno le dimensioni e la liquidità dei mercati mondiali del GNL. Negli Stati Uniti si prevede che il primo impianto di liquefazione sulla costa orientale sia messo in servizio entro il 2015-2017 con una capacità di circa 24 miliardi m3/anno.”

Ed ancora, è una notizia attuale quella dell’esistenza di lobby sullo shale gas nell’UE. L’Ombudsman – conosciuto anche come difensore civico europeo o mediatore europeo – ha aperto in agosto un’indagine sulla Rete europea della scienza e della tecnologia sull’estrazione degli idrocarburi non convenzionali, il gruppo di esperti istituito dalla Commissione Europea per valutare i progetti di ricerca di shale gas: quello che si estrae appunto con la distruttiva tecnica del fracking. Un’indagine delle ONG Friends of the Earth e Corporate Europe ha appurato che oltre il 70% di questi “esperti” ha interessi finanziari nell’industria del fracking: e ora l’ombudsman vuole vederci chiaro, esattamente come nel maggio scorso ha deciso di far chiarezza sugli imperscrutabili “triloghi” dai quali escono i testi della normativa UE.

La creazione della rete di esperti sullo shale gas ed i suoi compiti discendono dalla comunicazione della Commissione Europea sul fracking del gennaio 2014: un documento che – di fatto – traccia il quadro entro il quale l’UE segue gli USA nell’insensata corsa verso gli idrocarburi non convenzionali. L’ombudsman chiede alla Commissione Europea di abolire il gruppo o di applicare ad esso le regole relative a trasparenza e conflitto di interessi che valgono per i gruppi di esperti UE.

Dall’altra parte i Russi hanno risposto rafforzando la zona di influenza sulle repubbliche indipendentiste ucraine. In tal modo lasciano aperta la possibilità di inviare gas in Europa sia attraverso il Blue Stream già esistente che attraverso il nuovo gasdotto Turkish Stream in costruzione. Allo stesso tempo i Russi impediscono con la loro alleanza militare alla Siria la possibilità di realizzazione di un gasdotto Qatar-Turchia. L’accordo sul nucleare iraniano attende da parte di Mosca una contromossa che ancora non si è avuta. L’Iran è da sempre un alleato dei Russi è possibile che l’accordo sul nucleare distrugga questa alleanza?

L’Europa è in particolare la Germania in tutto ciò dovrebbe mantenere una posizione neutrale ed attendista mirando essenzialmente ad una diversificazione degli approvvigionamenti. Tuttavia, la UE non può opporsi alle pressioni del principale alleato NATO (USA) e neanche a quelle del suo attuale e principale fornitore (Russia). L’interesse degli Europei è che il gas continui ad arrivare e, in un mercato libero, la competizione fra fornitori non dovrebbe che ridurne il prezzo. L’analisi della situazione tuttavia ci mostra quanto gli interessi in gioco agiscano sulla libertà degli attori implicati. Il gas russo in realtà è l’opzione migliore per l’Europa considerando la stabilità politica di questo paese e la geografia. La Russia al contrario della Turchia e del Medio Oriente (Qatar, Iran) non è destabilizzabile da parte degli USA e pertanto rappresenta una risorsa sicura su cui investire a lungo termine. Le ragioni dell’impostazione russofoba dell’amministrazione USA e di una parte della UE succube alla politica americana affondano essenzialmente in una visione imperialista degli USA che fanno del “divide et impera” il proprio modo di agire. Gli Stati Uniti fanno del loro meglio per allontanare l’Unione Europea dalla Russia, avere il sopravvento nell’accordo di libero scambio e anche manipolare i Paesi europei per acquistare il più costoso gas naturale degli USA.

Ora possiamo rispondere alla domanda Cui Prodest. La guerra fredda è finita siamo ora nella guerra del gas.

Articolo Pubblicato il 9 settembre 2015 su: