I matematici che fecero l’impresa

In tema di Fake News quella sulla vicenda di Galilei riveste un ruolo del tutto particolare.

Una versione distorta venne diffusa dal commediografo Berthold Brecht e da allora divenne realtà storica, una vicenda che neanche la fervida fantasia di J. L. Borges avrebbe osato immaginare.

By Alfonso Pozio

In un discorso rivolto ai membri della sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze nel 1992, Giovanni Paolo II parlando di Galileo Galilei (1564-1642) così disse:

“A partire dal secolo dei Lumi, fino ai nostri giorni, il caso Galileo ha costituito una sorta di mito, nel quale l’immagine degli avvenimenti che ci si era costruita era abbastanza lontana dalla realtà. In tale prospettiva, il caso Galileo era il simbolo del preteso rifiuto, da parte della chiesa, del progresso scientifico, oppure dell’oscurantismo “dogmatico” opposto alla libera ricerca della verità. Questo mito ha giocato un ruolo culturale considerevole; esso ha contribuito ad ancorare parecchi uomini di scienza in buona fede all’idea che ci fosse incompatibilità tra lo spirito della scienza e la sua etica di ricerca da un lato, e la fede cristiana dall’altro. Una tragica reciproca incomprensione è stata interpretata come il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede.”

Giovanni Paolo, parla di “un immagine…lontana dalla realtà”. Quanto questa immagine sia lontana dalla realtà lo si può intuire ad esempio leggendo l’opera teatrale di Bertolt Brecht, “La Vita di Galileo”, storia incentrata con particolare attenzione sul processo dell’inquisizione e sull’abiura dello scienziato. Per quanto vi sforziate, riuscirete a trovare poco o nulla in quest’opera che testimoni il vero ambiente culturale in cui visse Galileo e la reale natura dei contrasti tra lo scienziato e i suoi detrattori. Quella che viene tracciata in questo dramma è un immagine a posteriori il cui scopo è quello di costruire la visione della realtà che si desidera lo spettatore abbia, quello di una contrapposizione insanabile tra scienza e fede.

In questo contributo cercheremo di analizzare un pochino questa realtà nascosta allo scopo di contribuire a eliminare quel contrasto che limita ancora oggi uomini di scienza nell’avvicinarsi alla fede e uomini di fede nel comprendere la scienza. L’intento però non si limita a questo. Ci piacerebbe che le giovani generazioni guardassero al nostro passato con ammirazione e stupore andando oltre una lettura troppo spesso offuscata da pregiudizi ideologici.

Come affermava il papa, esiste un problema metodologico, e cioè che una certa storiografia di matrice illuminista e positivista ha inquinato i fatti, oscurando particolari. Ad esempio, ha mancato di riconoscere il contributo dato da religiosi secolari o appartenenti ad ordini allo sviluppo dell’attività scientifica fino a Galileo e dopo Galileo. Questa storiografia ormai superata dai più recenti studi sulla materia (si legga ad esempio ”Scienziati, dunque credenti” di Francesco Agnoli”), ha preferito invece focalizzare l’attenzione su una Chiesa preoccupata solo di ostacolare il progresso scientifico. Insomma, una Chiesa controriformistica che a partire da Galileo ed insieme a lui avrebbe condannato l’intera scienza moderna.

A questa idea abbastanza diffusa nell’opinione comune hanno contribuito studiosi come il sociologo americano Karl Merton secondo cui in contrapposizione a questo cattolicesimo anti-scientifico, l’etica puritana avrebbe giocato un ruolo cruciale nel produrre a partire dall’Inghilterra protestante un crescente interesse per le scienze sperimentali. Merton per avvalorare la sua tesi osservò che molti membri fondatori della Royal Society fossero non solo seguaci della chiesa puritana ma anche servitori (vescovi, pastori, etc).

Questa tesi è smentita da una lucida osservazione dell’economista inglese Stanley Jevons nel 1865 nel libro “The Coal Question” in cui, riferendosi all’avvento dell’industria in Inghilterra dice testualmente:

Fino a circa la metà del diciottesimo secolo (cioè prima dell’avvento del carbone), noi inglesi eravamo del tutto arretrati in tutto ciò che riguardava le industrie più sofisticate, ed eravamo giustamente trattati dalle grandi nazioni avanzate del continente – l’Italia, la Spagna, la Francia, l’Olanda – come poveri isolani ignoranti, anche se orgogliosi…gli ingegneri italiani e francesi ci erano chiaramente superiori nella costruzione di ponti fino a verso la fine del diciottesimo secolo”.

La supremazia tecnico scientifica dei principali paesi cattolici europei tra cui l’Italia finisce, secondo il Jevons, con la rivoluzione industriale e l’avvento del carbone come fonte di energia perché, chi non aveva carbone non poteva più competere.

Questo farà sobbalzare sulla sedia qualcuno ancora convinto che l’Italia prima del 1750 fosse un luogo culturalmente scarso come la propaganda risorgimentale post unitaria ha voluto farci credere. Le cose non stavano affatto così e se lo dice un inglese stesso non abbiamo motivo di dubitarne.

Ma allora la domanda sorge spontanea. Da dove aveva avuto origine questa supremazia tecnico-scientifica che aveva portato gli ingegneri italiani ad eccellere?

E ancora, secondo l’interpretazione storica di Merton, Galileo non sarebbe affatto dovuto nascere e formarsi culturalmente in Italia culla della Chiesa Cattolica.

Ma le cose andarono davvero come sostiene Merton?

In realtà, come vedremo, Galileo non fu un eccezione ed egli non poteva che nascere in Italia ed in quel preciso momento storico. Ciò che avvenne in quel periodo spiega chiaramente perché gli ingegneri italiani fossero superiori a quelli inglesi fino a metà del secolo XVIII.

Per cominciare, se usiamo le stesse argomentazioni di Merton, possiamo subito renderci conto di quanti e di che livello furono i religiosi cattolici che si dedicarono allo studio delle scienze prima durante e dopo Galileo e dell’enorme contributo che diedero a molte discipline scientifiche. In questo contributo cercheremo di evidenziare la loro importanza e di ricordarli anche se, sono talmente numerosi che certamente ne dimenticheremo qualcuno. In questa analisi ci focalizzeremo principalmente su due discipline, la matematica e l’astronomia perché sono quelle più direttamente collegate allo scienziato toscano. In particolare però fisseremo l’attenzione sulla matematica che della scienza moderna rappresenta il fulcro essenziale.

Una premessa è necessaria, lo studio delle discipline inerenti la filosofia della natura e tra queste della matematica e dell’astronomia ebbe un enorme impulso prima con l’Umanesimo e poi con il Rinascimento italiano che riprese tutti quei testi che il monachesimo occidentale aveva tradotto dall’arabo e dal greco e custodito per secoli.

Questo è il substrato culturale su cui si innesta la situazione storica. Le università italiane nate nel tardo medioevo e sviluppatesi nei secoli successivi (Bologna, Pisa, Padova, Pavia, Roma, etc) sono centri di eccellenza in cui si recano giovani religiosi e laici da tutta Europa desiderosi di approfondire i loro studi in ogni campo. Tra questi giovani c’e’ anche Niccolò Copernico (1473-1543) religioso ed astronomo polacco famoso per aver portato all’affermazione della teoria eliocentrica. La sua teoria, che propone il Sole al centro del sistema di orbite dei pianeti componenti il sistema solare, riprende quella greca di Aristarco di Samo dell’eliocentrismo, la teoria opposta al geocentrismo, che voleva invece la Terra al centro del sistema.

Quindi non è merito suo l’idea, già espressa dai greci, ma la sua rigorosa dimostrazione tramite procedimenti di carattere matematico. Su questo punto è opportuno riflettere. La grandezza di Copernico è nella dimostrazione attraverso procedimenti matematici. Ma questa impostazione da dove gli venne? Analizzando il suo cursus studiorum, scopriremmo che dopo i primi studi all’Università di Cracovia nel 1495, Copernico venne in Italia all’Università di Bologna per “specializzarsi”. A Bologna incontrò Domenico Maria Novara (1454-1504), già celebre astronomo, che ne fece il suo allievo e uno dei suoi più stretti collaboratori. Con il suo maestro Copernico fece le prime osservazioni astronomiche nel 1497. Successivamente, il giovane si diresse a Roma, dove osservò un eclissi e dove tenne lezioni di astronomia e di matematica. Successivamente, dopo aver preso servizio come Canonico nel 1501 a Frombork, Copernico ritornò in Italia al fine completare la sua formazione. Studiò a Padova (con Fracastoro e Gaurico) e a Ferrara con Antonio Bianchini figlio del più celebre Giovanni Bianchini (1410-1469) entrambi matematici e astronomi. La preparazione culturale di Copernico è dunque frutto della cultura universitaria italiana dell’epoca.

Il nucleo centrale della sua teoria, l’essere il Sole al centro delle orbite degli altri pianeti, e non la Terra, fu pubblicato nel libro De revolutionibus orbium coelestium (Delle rivoluzioni dei corpi celesti) l’anno della sua morte. Il libro è il punto di partenza di una conversione dottrinale dal sistema geocentrico a quello eliocentrico e contiene gli elementi più salienti della teoria astronomica dei nostri tempi, comprese una corretta definizione dell’ordine dei pianeti, della rivoluzione quotidiana della Terra intorno al proprio asse, della precessione degli equinozi. La teoria Copernicana non era esente da difetti: 1) orbite circolari anziché ellittiche, 2) dimensioni delle stelle esageratamente grandi, 3) precisione nel calcolo delle effemeridi simile a quella ottenibile dal sistema tolemaico. Benché all’epoca di Copernico il sistema eliocentrico e quello geocentrico fossero sostanzialmente equivalenti in termini di complessità e di capacità predittiva, il grande vantaggio del sistema copernicano fu l’eliminazione dalle orbite di tutti i pianeti, di un epiciclo; nel sistema tolemaico, questo epiciclo è dovuto al fatto che le orbite sono osservate dalla Terra, la quale a sua volta gira attorno al sole. L’osservazione che i pianeti hanno un epiciclo in comune dovuto all’orbita della Terra, apriva tra l’altro la possibilità di misurare le distanze dei pianeti dal Sole (o meglio, il loro rapporto col raggio dell’orbita terrestre) col metodo della parallasse.

Copernico sostituiva Tolomeo e migliorava l’Almagesto sul piano dei calcoli, ricorrendo a una raffinata matematica pitagorica e conservando il presupposto metafisico della perfetta circolarità dei moti celesti. Non c’è traccia in Copernico di molti degli elementi a fondamento della “rivoluzione astronomica” (eliminazione di epicicli, eccentrici e delle sfere solide, infinità dell’universo), ma il De revolutionibus, pur non presentandosi come un testo rivoluzionario, aprì questioni che fecero franare l’intero sistema tolemaico, a causa del suo instabile equilibrio. La teoria si diffuse rapidamente in Europa ed in Italia dove veniva insegnata nelle principali Università dai primi del ‘500.

E fu proprio in queste stesse Università italiane in cui si insegnava senza alcun problema che Galileo la conobbe e l’approfondì. La formazione di Galileo avvenne all’Università di Pisa e si indirizzò alla matematica sotto la guida di Ostilio Ricci (1540-1603) (allievo di Tartaglia), Segui anche i corsi di Fisica dell’aristotelico Francesco Bonamico. L’impronta di Ricci sulla matematica non come scienza astratta, ma come disciplina che servisse a risolvere i problemi pratici legati alla meccanica e alle tecniche ingegneristiche influenzò moltissimo Galileo. Dopo alterne vicende che lo portarono anche a Roma dove incontro il gesuita Cristoforo Clavio (1538-1612) che stimava, Galileo ottenne un insegnamento alla cattedra di matematica a Pisa per tre anni. Questo il programma che egli espose:

Il metodo che seguiremo sarà quello di far dipendere quel che si dice da quel che si è detto, senza mai supporre come vero quello che si deve spiegare. Questo metodo me l’hanno insegnato i miei matematici, mentre non è abbastanza osservato da certi filosofi quando insegnano elementi fisici… Per conseguenza quelli che imparano, non sanno mai le cose dalle loro cause, ma le credono solamente per fede, cioè perché le ha dette Aristotele. Se poi sarà vero quello che ha detto Aristotele, sono pochi quelli che indagano; basta loro essere ritenuti più dotti perché hanno per le mani maggior numero di testi aristotelici[…] che una tesi sia contraria all’opinione di molti, non m’importa affatto, purché corrisponda alla esperienza e alla ragione.

Interessante osservare che le stesse critiche all’aristotelismo le aveva anticipate un domenicano tedesco qualche secolo prima, Alberto Magno (CS2015). Ma Galileo le ha ben chiare al contrario di alcuni suoi colleghi contemporanei ed in più Galileo conosce bene la matematica il cui insegnamento in Italia aveva già una tradizione ma che, proprio a cavallo del 1500, ebbe un notevole impulso come stiamo per vedere.

Prima di entrare nello specifico dobbiamo fare un passo indietro di una quarantina di anni fino alla contro riforma. Nata come reazione alla riforma protestante, questa revisione di carattere teologico della fede cristiana produsse tra le varie conseguenze la necessità di curare in modo particolare l’aspetto culturale dei candidati al sacerdozio forse per renderli all’altezza nel controbattere al dilagante protestantesimo. Infatti, tra i decreti disciplinari del concilio di Trento (1542-1563), punto cardine della controriforma, c’e’ ne uno che influenzerà particolarmente la storia della conoscenza scientifica italiana ed europea il quale sanciva che:

“i sacerdoti debbano essere preparati culturalmente e teologicamente”.

Questa impronta segnerà in modo particolare l’impostazione di un ordine religioso che darà un contributo alla cultura scientifica non indifferente. Si tratta dell’ordine dei Gesuiti. Conosciamoli da vicino.

L’ordine dei Gesuiti nasce nel 1540 da un gruppo di sei studenti dell’Università di Parigi che erano guidati da sant’Ignazio di Loyola (1491-1556). La Compagnia di Gesù non aveva come scopo l’attività scientifica in quanto tale bensì l’evangelizzazione, tuttavia la preparazione culturale indicata dal concilio di Trento come necessaria, fece sì che da subito Ignazio si ponesse il problema della formazione di docenti specializzati anche come vedremo nell’insegnamento delle scienze e in particolare della matematica. Questa preminenza data alla matematica ci riporta ancora al grande Galileo, riconosciuto ed indiscusso padre del metodo scientifico.

E’ importante ricordare che questo metodo attraverso cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile consiste, da una parte, nella raccolta di dati empirici sotto la guida delle ipotesi e teorie da vagliare; dall’altra, nell’analisi matematica e rigorosa di questi dati, associando cioè, come enunciato per la prima volta da Galileo, le «sensate esperienze» alle «dimostrazioni necessarie», ossia la sperimentazione alla matematica.

Ma torniamo ai gesuiti. L’insegnamento non era l’obiettivo iniziale del progetto ignaziano, ma ne divenne ben presto l’attività principale, sia per formare confratelli intellettualmente all’altezza del progetto del fondatore, sia per rispondere alla domanda di formazione da parte delle élites nei Paesi cattolici. Nacque così nel 1551 il Collegio romano e ad un solo anno di distanza il Collegio germanico ad Ingoldstadt. Questi saranno i due centri più rappresentativi per quanto riguarda l’astronomia e la matematica nella seconda metà del ‘cinquecento.

E’ interessante osservare che i matematici più famosi della generazione precedente erano in maggioranza laici a parte il Maurolico (monaco benedettino): (1494-1575), Commandino (1509-1575), Del Monte (1545-1607), Baldi (1553-1617), Tartaglia (1499-1577), Cardano (1501-1576), Del Ferro (1465-1526). Quindi possiamo dire che l’impostazione dei gesuiti fu una vera e propria novità nel panorama scientifico religioso italiano.

In una recente intervista, Padre Emilio Sandoz sacerdote gesuita è docente emerito di geofisica alla Complutense di Madrid e membro della prestigiosa Academy of Europe traccia un quadro completo dell’attività dei gesuiti in campo scientifico dalla fondazione ai nostri giorni. Alla domanda da cosa dipenda questa “vocazione scientifica” dell’ordine Sandoz risponde:

“Vi è, innanzitutto, un fattore storico. La sua costituzione, nel 1540, coincide con l’esordio della scienza moderna. La Compagnia assume come priorità il lavoro in ambito educativo, con la fondazione di collegi – 600 solo in Europa – e università. Il fatto di non avere alle spalle una lunga tradizione dottrinale, come ad esempio domenicani e francescani, le permette di introdurre nei programmi le nuove correnti delle scienze matematiche e sperimentali. È emblematica, a tal proposito, la battaglia del già citato Cristoforo Clavio (1538-1612) matematico ed astronomo tedesco, per l’inserimento della matematica nei curricula scolastici, come base per lo studio dei fenomeni naturali, in contrasto con la tradizione aristotelica. Grazie al suo impegno, la Ratio studiorum impone a tutti i collegi di avere un docente fisso per la materia.”

La “Ratio atque institutio studio rum Societatis Iesu”, questo è il nome del testo normativo, prevedeva un insegnamento specifico di matematica per gli studenti del corso di fisica (al secondo anno di filosofia), dunque un’istruzione primaria per ogni gesuita in formazione. Il programma includeva la lettura di Euclide, elementi di geografia e di sfera; ripetizioni pubbliche settimanali e dispute mensili in presenza di filosofi e teologi dovevano servire a integrare l’insegnamento e a rappresentare anche visivamente l’importanza della materia nel curriculum.

Clavio capì l’importanza dell’ordine anche sul terreno della scienza e all’interno delle Scienze dell’importanza della matematica e chiese ed ottenne nel 1593 la creazione presso il Collegio romano, di un’accademia superiore di matematiche riservata a un’élite di studenti provenienti da tutte le province della Compagnia, che si rinnovava ogni anno. L’accademia offriva un ciclo annuale di formazione specializzata – la geometria, la cartografia, l’astronomia soprattutto di osservazione, l’aritmetica e l’algebra – da seguire tra la fine del ciclo di filosofia e l’inizio di quello di teologia, complementare al corso ordinario e riservato ai futuri lettori di matematiche interni alla Compagnia. Insomma, il gesuita doveva conoscere la filosofia, la teologia ma anche specializzarsi in alcune discipline prettamente scientifiche ed avere basi matematiche. Per capire Clavio basterebbe ricordare una sua affermazione:

“…gli studi matematici debbono essere tenuti in grande cura. Molti professori di filosofia si sarebbero risparmiati una quantità di errori se non fossero così ignoranti in matematica. Una volta al mese professori e studenti dovrebbero riunirsi per ascoltare seminari sulle proposizioni di Euclide…”

Sandoz aggiunge poi un altro elemento circa la vocazione scientifica dell’ordine:

…A questo dato storico, si aggiunge la peculiarità della spiritualità ignaziana di essere una “mistica del servizio”. L’invito di Sant’Ignazio a «trovare Dio in tutte le cose» rende queste ultime, le persone, le circostanze, occasioni per incontrare il Creatore. Da qui, lo slancio dei gesuiti in ogni campo dell’umano, incluso quello scientifico. Quest’ultimo rappresenta, infine, una “frontiera”, ambito prediletto dalla Compagnia. Spesso, soprattutto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, scienza e fede sono state considerate lontane o addirittura inconciliabili. Gli studiosi gesuiti dimostravano e dimostrano l’esatto contrario. Nel 1954, il sacerdote gesuita, sismologo ed esploratore Daniel Linehan, fece incidere sulla base del calice: «Prima Messa nel polo nord magnetico».

Ma ritorniamo alla nostra storia e a Clavio. Entrato nell’ordine nel 1555, aveva studiato all’Università di Coimbra, dove i gesuiti avevano un loro collegio. Nei corsi universitari eccelse nelle discipline matematiche, e nel 1560 eseguì osservazioni astronomiche su una eclissi solare totale che lo indussero a indirizzarsi agli studi astronomici. Quello stesso anno si trasferì a Roma dove compì i suoi studi in teologia proprio presso il Collegio Romano, e nel 1564 ottenne gli ordini sacerdotali. In questo anno iniziò ad insegnare argomenti matematici al Collegio Romano, e questa attività la continuerà fino alla fine dei suoi giorni. Il Collegio romano grazie anche a lui diverrà il centro di eccellenza più avanzato nel campo della ricerca e della didattica delle scienze. Nel 1610 Galileo dopo la pubblicazione del Sidereus nuncius, si recò proprio al Collegio Romano per patrocinare la causa delle proprie scoperte astronomiche. A giudizio dello scienziato toscano, evidentemente, la competenza scientifica della scuola gesuitica e il grande prestigio personale di Clavio costituivano allora le fonti più autorevoli per condividere, come avvenne non senza qualche iniziale esitazione, l’attendibilità dei suoi riscontri telescopici. Nel caso specifico il Collegio Romano si pose, in un certo senso, come sistema di revisione scientifica. I documenti mostrano che fu così (Il cielo sopra Roma, R.Buonanno, ed. Springer). Nel 1611, il cardinale Bellarmino (anche lui gesuita) domandò ai professori di matematica del Collegio Romano di esprimere il loro parere circa le novità celesti esposte da Galileo: 1) la superficie scabra della luna, 2) le fasi di Venere, 3) i satelliti di Giove, 4) la forma di Saturno e 5) la composizione della Via Lattea. Bellarmino pose domande ben precise come farebbe oggi un editore ai suoi reviewers prima della pubblicazione.

Si noti che Bellarmino non definisce Galileo come filosofo o scienziato. No, per lui è un valente matematico. 

La risposta di Clavio (1538-1612) e dei suoi collaboratori (reviewers), Grégoire de Saint-Vincent, Oto Maelcote e Lembo costruttore del microscopio utilizzato, anche loro astronomi e matematici, è precisa e risponde punto per punto, rivelandosi favorevole a Galileo, benché solo dal punto di vista fenomenologico, senza entrare cioè nel merito delle implicazioni fisiche e cosmologiche dei riscontri telescopici.

Purtroppo per Galileo, Clavio aveva 74 anni e dopo aver confermato tutte le osservazioni del grande pisano, non avrà più molto tempo per seguire l’evoluzione della vicenda di quel giovane studioso con il quale si era scambiato lettere per tanti anni. Ne avrà abbastanza tuttavia per annotare esplicitamente nell’ultima revisione del suo trattato In Sphaeram Joannis de Sacrobosco che il sistema tolemaico richiede una revisione per inquadrare le osservazioni descritte nel Sidereus Nuncius e da lui stesso confermate.

Clavio fu insegnante anche del gesuita maceratese Matteo Ricci (1552-1610), allievo del Collegio romano tra il 1573 e il 1577, il quale, come noto, fu il primo a utilizzare la trasmissione di conoscenze scientifiche – matematiche, astronomiche, cartografiche – in Cina come strumento di evangelizzazione, oltreché a iniziare nel 1595 il lavoro di traduzione nella lingua cinese di opere scientifiche europee. Sulle mura della Città Imperiale di Pechino sorge ancora oggi l’osservatorio astronomico intitolato “Matteo Ricci”, che contiene strumenti astronomici degli inizi del Seicento, alcuni dei quali disegnati dallo stesso gesuita. Un altro gesuita celebre sarà Padre Eusebio Chini (1645-1711) che studiò presso il collegio gesuita di Trento e poi a Hall in Tirol, interessandosi in particolare di matematica, di cartografia e di scienze naturali il quale dimostro` per primo che la Baia
California era una penisola e non un’isola come tutti credevano.

I gesuiti che studiarono al Collegio romano provenivano da tutte le province della Compagnia disseminate in Europa e questo produrrà una diffusione di un sapere scientifico fondato sulla matematica che si moltiplicherà come vedremo nel seguito a tutti i loro collegi ed università. Una carrellata di nomi in ordine cronologico ci aiuterà a comprendere la portata di questa rivoluzione gesuita, come vedremo si tratta di una generazione di matematici/astronomi di alto livello culturale. Per semplicità abbiamo voluto indicare con il simbolo gli estimatori,   i detrattori,  gli imparziali allo scienziato di Arcetri insieme ad altri nomi eccellenti dello stesso periodo storico.

 Giuseppe Biancani (1566-1624) gesuita, matematico e astronomo formatosi a Padova (dove incontrò Galileo Galilei che lì insegnava) fra il 1596 e il 1599. Fu docente per un ventennio a Parma, presso il collegio gesuitico di San Rocco. Il cratere lunare Blancanus gli è stato dedicato nel 1651 dal suo discepolo Giovanni Riccioli. Apprezzava Galileo, tuttavia non prese mai le sue difese essendo un aristotelico puro.

Christopher Grienberger (1561-1636), gesuita ed astronomo austriaco. A lui è dedicato il cratere lunare Gruemberger. Entrò nell’ordine nel 1580 studiò a Praga e a Vienna e dopo esserne stato allievo, prese il posto di Clavio come professore di matematica al Collegio Romano nel 1612. Insieme al suo maestro, a Paolo Lembo, and Odo van Maelcote, gli altri matematici della facoltà del collegio romano, fornì un giudizio positivo sulle osservazioni telescopiche di Galileo. Ebbe rapporti epistolari con Bettini e Biancani. Lavoro anche nel campo dell’ottica. La sua opinione su Galileo è confermata dal Torricelli stesso (vedi nel seguito).

Johann Lantz (1564-1638), gesuita e matematico tedesco. Maestro di Christoph Scheiner ad Ingolstadt. Nel 1619 pubblica Institutionum arithmeticarum libri quatuor.

François d’Aguilon (1567-1617) gesuita, matematico, fisico e architetto belga. Si unì ai gesuiti a Tournai nel 1586. Nel 1598 si trasferì ad Anversa, dove contribuì alla progettazione della chiesa di San Carlo Borromeo e nel 1611 fondò una scuola gesuita di matematica ispirata a Clavius, poi aiutato da Grégoire de Saint-Vincent. Fra i geometri che studiarono in tale scuola furono Jean-Charles della Faille, André Tacquet, e Théodore Moret. La sua opera, Opticorum Libri Sex philosophis juxta ac mathematicis utiles, (sei libri di ottica), è interessante per fisici e matematici contiene uno dei primi studi sulla visione binoculare. Diede alla proiezione stereografica e alla proiezione ortografica tali nomi, usati tuttora, anche se come metodi erano probabilmente già note a Ipparco. L’opera ispirò inoltre quelle di Desargues e Christiaan Huygens.

Odo von Maelcote (1572-1615) gesuita, astronomo e matematico. Entro nell’ordine nel 1590. Allievo di François d’Aguilon e poi di Clavio al collegio romano. Assistente di Christopher Grienberger e con lui “revisore” del Sidereus Nuncius di Galileo.

Christoph Scheiner (1573–1650) gesuita, astronomo e matematico tedesco. Entrò nell’ordine dei Gesuiti nel 1595, quindi insegnò matematica e lingua ebraica a Ingolstadt dal 1610 al 1616. Fu quindi docente di matematica e astronomia al Collegio Romano dal 1624 al 1633. Descrisse gli usi dei pantografi e si interessò particolarmente di ottica; pubblicò i risultati delle sue ricerche nel libro Oculus sive fondamentum opticum, del 1619. L’esperimento ottico di Scheiner, ancora ricordato in alcuni trattati della materia, serve a trovare il punto prossimo e il punto remoto della visuale distinta. Pubblicò inoltre numerosi studi e opere di astronomia, in particolare sulle macchie solari, argomento sul quale entrò in polemica anche con Galileo. A partire dalla pubblicazione nel 1630 dell’opera Rosa Ursina sive Sol, ex admirando facularum et macularum suarum phenomeno varius, la disputa tra Scheiner e lo scienziato toscano divenne particolarmente virulenta.
Nell’opera postuma Prodromus de Sole mobili et stabili Terra contra Galileum de Galilei (pubblicata nel 1651), Scheiner sostenne le teorie tolemaiche sull’immobilità della Terra in contrasto con le nuove idee copernicane e con le dimostrazioni dello stesso Galileo. Tale opera può essere considerata una degli ultimi tentativi di sostegno verso il sistema cosmologico tolemaico. Gli è stato dedicato un cratere di 110 km di diametro sulla Luna.

Paolo Guldino (1577-1643) gesuita, matematico e astronomo svizzero. A lui si devono i teoremi di Pappo-Guldino, che consentono di determinare la superficie ed il volume dei solidi di rotazione. I teoremi portano anche il nome del matematico alessandrino Pappo, che li intuì alcuni secoli prima. Insegnerà matematica a Roma, Vienna e Graz. I risultati dei suoi studi matematici sono presenti soprattutto nell’opera “Centrobaryca” (baricentri), edita in tre volumi (1635,1640,1641), all’interno della quale si trovano i due teoremi che portano il suo nome. Nella sua epoca Paolo Guldino è uno studioso famoso. Insieme a Bettini, si impegnò a screditare la teoria degli infinitesimi, attaccando Cavalieri e il suo metodo degli indivisibili nel libro De centro gravitatis del 1641. Nell’opera astronomica di Paolo Casati Terra machinis mota (1658), Casati immagina un dialogo tra Guldino, Galileo e Marin Mersenne su varie tematiche riguardanti cosmologia, geografia, astronomia e geodesia.

Orazio Grassi (1583-1654), gesuita, matematico e architetto italiano. Entro nei gesuiti nel 1600. Di qui passò nel 1603 al Collegio Romano studiandovi fino al 1610 filosofia, matematica – sotto Cristoforo Clavio, Christoph Grienberger e Odo van Maelcote. Nel 1616 fu nominato professore di matematica del Collegio romano. Tenne la cattedra di matematica fino al 1628, trattando in particolare di astronomia, di ottica e di architettura, come mostrano le sue lezioni De iride disputatio optica, e i testi, rimasti manoscritti, del Tractatus tres de sphera, de horologis ac de optica, ancora del 1617, e degli In primum librum de architectura M. Vitruvii et in nonum eiusdem De horologiorum solarium descriptione duo brevissimi tractati, del 1624. Fu probabilmente il maggiore avversario di Galileo, la sua fama è legata principalmente alla disputa e polemica con Galileo Galilei sulla natura delle comete. Questa disputa origina dall’apparizione di tre comete nel 1618. All’inizio del 1619 il Grassi pubblicò il De tribus cometis anni 1618 disputatio astronomica publice habita in Collegio Romano Societatis Iesu, sostenendovi che la terza cometa apparsa l’anno prima era un corpo celeste privo di luce propria e orbitante circolarmente in una traiettoria posta tra la Luna e il Sole. A questo libro si oppose pochi mesi dopo a Firenze il Discorso delle comete firmato da Mario Guiducci ma scritto da Galilei, che sostenne la tesi che le comete fossero addensamenti di vapori terrestri illuminati dal sole. Orazio Grassi replicò in ottobre col trattato Libra astronomica ac philosophica qua Galilaei Galilaei opiniones de cometis a Mario Guiduccio in Florentina Academia expositae. Il libro intendeva soppesare tutte le teorie allora in voga sull’origine di questi fenomeni celesti, con particolare attenzione alla tesi di Tyco Brahe, il cui sistema cosmologico era apprezzato dalla Compagnia di Gesù. Il Saggiatore di Galileo Galilei è la risposta, nel 1623, al libro di Grassi, tanto più che il termine saggiatore indicava la bilancia di precisione (contrapposta alla comune “Libra”). Galilei ne Il Saggiatore confutava la teoria di Brahe e ribadiva la sua teoria, facendo altresì intendere di apprezzare l’atomismo, parlando della natura corpuscolare della luce.

Il Saggiatore viene accolto con grande favore perfino negli ambienti della Curia. Grassi attese qualche anno prima di rispondere pubblicamente al Saggiatore con l’edizione della Ratio ponderum et simbellae, ma nell’immediato depositò una denuncia anonima al tribunale dell’Inquisizione contro Galilei per le tesi atomistiche contenute ne Il Saggiatore.
L’indagine verrà condotta da ecclesiastici filo galileiani e la denuncia dimenticata. Ma diverrà fondamentale quando, nel 1633, all’uscita del Dialogo sui Massimi Sistemi, Galileo viene nuovamente accusato di atomismo: questa volta la protezione del papa non potrà impedire il processo, ma riuscirà solo a sviarlo verso l’accusa di copernicanesimo. Risulta quindi chiaro che il ruolo di Grassi nella vita del Galilei non è di secondo piano e che, anzi, gli attriti con il gesuita savonese sono direttamente responsabili delle vicende giudiziarie di Galilei. A Grassi non andò bene dal punto di vista accademico perché dopo il processo di Galilei venne allontanato da Roma insieme a tutti gli intransigenti che erano stati causa della condanna.

Grégoire de Saint-Vincent (1584-1667) gesuita matematico fiammingo, noto per i suoi studi sulla quadratura del cerchio e come precursore del calcolo infinitesimale. Allievo di Clasius al Collegio romano (1605-1612) nel 1611 assistette alla presentazione del Sidereus nuncius di Galileo in quella sede. De Saint Vincent diverrà a sua volta professore di matematica ad Anversa (dal 1618 al 1620) dove creerà un’accademia di matematica, e successivamente a Lovanio.

Mario Bettini (1584-1657) gesuita, matematico, astronomo e filosofo italiano. Insieme con Guldino e Tacquet, si impegnò nella stessa missione: screditare e indebolire il metodo degli indivisibili di Cavalieri. Alla morte di Guldino, divenne il principale critico gesuita della teoria degli infinitesimi. Il cratere lunare Bettinus, nell’area di Bailly, gli è stato dedicato nel 1651 da Giovanni Riccioli.

Nicola Cabeo (1586-1650), gesuita matematico e filosofo. Nel 1602 novizio della Compagnia di Gesù, ebbe Giuseppe Biancani come insegnante di matematica nel collegio gesuitico di Parma dove compiuti i suoi studi fu docente di filosofia per molti anni. Nel 1632 si stabilì a Genova dove conobbe Giovanni Battista Baliani divenendone amico. Nel suo commento alle Meteore di Aristotele Cabeo sostenne e testimoniò la priorità della scoperta della legge di caduta dei gravi dello scienziato genovese rispetto a quella di Galilei. Collaborò con vari fisici del suo tempo, con lo stesso Baliani a Genova, con il Renieri a Pisa, con il Riccioli, suo amico e allievo anche lui del Biancani, con il quale nel 1634 aveva condotto a Ferrara esperimenti sulla caduta dei gravi. Soggiornò a Roma nello stesso periodo in cui era presente nel 1645 e nel 1646 Marin Mersenne, il “segretario dell’ Europa dotta” che vi si trovava in occasione dell’elezione di Vincenzo Carafa a generale dei gesuiti

Johann Baptist Cysat (1587-1657) gesuita, astronomo e matematico svizzero. Noto per aver compiuto diversi studi sulle comete. Il suo lavoro principale è Mathematica astronomica de loco, motu, magnitudine et causis cometae qui sub finem anni 1618 et initium anni 1619 in coelo fulsit. Discepolo di Scheiner ad Ingolstadt. Gli è stato dedicato un cratere sulla Luna, il cratere Cysatus.

Marin Mersenne (1588-1648) monaco teologo, filosofo e matematico francese. È soprattutto noto per i numeri di Mersenne. Anche se appartenne all’ordine dei Frati minimi tuttavia, studio presso il collegio gesuitico di La Flèche, dove conobbe il matematico e filosofo Cartesio anche lui studente nello stesso periodo. Curò edizioni di Euclide, Archimede ed altri matematici greci, tuttavia il suo maggiore contributo fu l’estesa corrispondenza che ebbe con personalità scientifiche e matematiche del suo tempo. In un’epoca in cui ancora non esistevano giornali scientifici, Mersenne agì come veicolo per la circolazione di informazioni e scoperte.

Jean-Charles de La Faille (1597-1652) gesuita e matematico, studiò alla scuola gesuita di François d’Aguilon, e successivamente divenne uno dei migliori studenti, e discepolo, di Grégoire de Saint-Vincent. Dal 1626 al 1628, insegnò matematica all’istituto scolastico gesuita di Lovanio, prima di essere chiamato al collegio imperiale di Madrid, dove consigliava Filippo IV, re di Spagna, su questioni militari e fortificazioni, oltre a insegnare matematica. La sua opera principale è Theoremata de centro gravitatis partium circuli et ellipsis (1632) in cui determinò, per la prima volta, il centro di gravità del settore circolare.

Giovanni Battista Riccioli (1598–1671) gesuita astronomo. Riccioli studia presso la scuola dei gesuiti, ed entra nella Compagnia di Gesù il 6 ottobre del 1614. Fautore del geocentrismo, s’inserì nel dibattito astronomico rifiutando i tre principali sistemi del mondo correnti all’epoca – tolemaico, copernicano e tychonico – ed elaborandone uno proprio. Pubblicò nel 1651, Almagestum novum, astronomiam veterem novamque complectens, in due volumi, nel quale ha incluso una mappa lunare, assegnando ai crateri lunari nomi tuttora in uso. Tutti i principali astronomi ebbero da lui la dedica di un cratere. Divenuto professore di lettere umane, filosofia, teologia e astronomia, prima a Parma, poi a Bologna, Riccioli decide di dedicarsi totalmente allo studio dell’astronomia, che a quel tempo, in conseguenza delle scoperte di Keplero e della nuova teoria di Copernico, era fonte di grandi discussioni. Schierato in un primo momento tra gli avversari di queste nuove idee, pur elogiando il genio di Copernico e ammettendo la validità della sua idea almeno a livello di ipotesi. Compì numerose osservazioni astronomiche con Francesco Maria Grimaldi. Da queste e dai propri studi nacquero il già citato Almagestum novum (1651) e l‘Astronomiae Reformatae Tomi duo (1665). Nell’Almagestum novum, Riccioli traccia una mappa della Luna, proponendo una nomenclatura ancora oggi in larga parte utilizzata, e propone le sue osservazioni sugli anelli di Saturno. Ha studiato il volo lunare, la rifrazione atmosferica e la rifrazione in generale. Ha compilato un catalogo stellare, osservato una stella doppia, notato le bande colorate parallele passanti per l’equatore di Giove. Ha anche realizzato alcuni esperimenti con i corpi in caduta, nell’intento di confutare le teorie di Galileo sul moto della Terra: secondo Riccioli, infatti, i suoi risultati indicavano che il nostro pianeta era a riposo, ma in realtà i suoi esperimenti hanno semplicemente confermato i risultati del Galilei. Ha sviluppato un dispositivo di livellamento per utilizzarlo nelle misure ed ha pubblicato un lavoro sulla traversata geografica. Ha sviluppato un metodo per misurare il diametro del Sole e, con Grimaldi, ha perfezionato il pendolo come strumento per misurare il tempo (vedi orologio a pendolo). Infine, ha pubblicato le tabelle della latitudine e della longitudine per tantissime località (Tabula latitudinum et longitudinum – Vienna, 1689), correggendo i dati precedenti. Inoltre, ha pubblicato il Geographiae et hydrographiae reformatae libri duodecim (Bologna, 1661). A Giovanni Riccioli è stato dedicato il cratere lunare Riccioli, di 146 km di diametro e un crepaccio di 400 km di lunghezza.

Théodore Moret (1602-1667), gesuita matematico belga allievo di François d’Aguilon studiò al collegio Clementinum di Praga, per poi iniziare una peregrinazione in molti collegi dell’area centro orientale dell’impero (Olomutz, Praga, Bratislava, Znojmo, Jihlava, Březnice, Klatovy, e Nisa Głogów). Autore della prima dissertazione matematica a Praga, i suoi diari scientifici contengono note e schizzi della sua corrispondenza con numerosi scienziati europei del tempo (Kircher, Conrad, Riccioli etc.). Il cratere lunare Moretus è dedicato a lui.

André Tacquet (1612–1660) matematico olandese. Gesuita dal 1629, nel 1631–1635 studiò matematica, fisica e logica a Lovanio. Fra i suoi maestri vi furono Gregorio di San Vincenzo e Francois d’Aguilon. Le sue opere furono rinomate e tradotte in diverse lingue; ottenne risultati poi sviluppati da Isaac Newton e Gottfried Leibniz, anche in materia di integrazione e tangenti. Fu fra i precursori del calcolo infinitesimale sviluppato da John Wallis. La sua opera più influente fu Cylindricorum et annularium (1651) in cui spiegava come un punto mobile produca una curva, nonché la teoria di area e volume.

Paolo Casati (1617–1707), gesuita matematico, astronomo e teologo italiano. Entrò nell’ordine dei gesuiti nel 1634. Al completamento degli studi di matematica e teologia, fu inviato a Roma, dove divenne professore al Collegio Romano. Dapprima insegnò teologia e filosofia, ed in seguito passò alla cattedra di matematica. Nel 1677 fu trasferito al collegio gesuitico di Parma, dove rimase fino alla morte. Il cratere Casati, sulla superficie della Luna, è stato così battezzato in suo onore. Nell’opera astronomica Terra machinis mota (1655) Casati immagina un dialogo tra Galileo, Paolo Guldino, e Marin Mersenne su vari problemi di cosmologia, geografia, astronomia e geodesia. Tra gli altri problemi discute le dimensioni della Terra, i corpi celesti sospesi nel vuoto, la capillarità, e l’esperimento di Otto von Guericke del 1654 sul vuoto. Un aspetto notevole di questo lavoro è che presenta Galileo in una luce positiva, appena 25 anni dopo la condanna da parte della Chiesa.
Casati discusse l’ipotesi dell’horror vacui, secondo la quale la natura avrebbe come in orrore il vuoto e non ne consentirebbe l’esistenza, nella sua tesi Vacuum proscriptum, pubblicata a Genova nel 1649. Casati confuta l’esistenza sia del vuoto sia della pressione atmosferica, ma non si appoggia interamente sulle osservazioni scientifiche, e talvolta ricorre al Principio di Autorità o a principi teologici. In questo caso utilizza una reductio ad absurdum, deducendo dall’esistenza del vuoto, l’assenza di tutto, anche di Dio, da cui la confutazione dell’ipotesi iniziale

Francesco Maria Grimaldi (1618-1663) fisico e astronomo, la cui fama è legata alla scoperta della diffrazione della luce. Entrò nella Compagnia di Gesù nel 1632 e fu ordinato sacerdote nel 1651. Studiò a Novellara, a Parma e a Bologna. Nel Collegio di Bologna fu in seguito insegnante di filosofia e quindi di matematica. In campo astronomico, fu assistente di Giovanni Riccioli in studi teorici e sperimentali, osservando le macchie solari e realizzando una particolareggiata descrizione delle macchie lunari, in seguito alla quale compilò una carta della Luna la cui nomenclatura è in uso ancora oggi. Molte delle sue osservazioni sono riportate nel Nuovo Almagesto dello stesso Riccioli. Importanti i suoi studi sulla diffrazione della luce per l’ipotesi della teoria ondulatoria della luce, espressa per la prima volta nel trattato De lumine pubblicato a Bologna nel 1665 che ha ispirato fra l’altro le opere di Domenico Guglielmini e lo stesso Isaac Newton. Il cratere lunare Grimaldi prende il nome da lui. Riccioli ha, poi, scritto un trattato di geografia (Geographia et hydrographia reformata), che dovrebbe raccogliere tutto lo scibile geografico del suo tempo. Infine, ha tentato di misurare il raggio della Terra e di stabilire il rapporto tra la superficie d’acqua e di terre emerse.

Gilles-François de Gottignies (1630-1689) gesuita, matematico, astronomo. Fu molto attivo nella comunità scientifica di Roma e si interessò primariamente di astronomia, nell’epoca post-galileiana in cui essa aveva subito una grande accelerazione grazie ai nuovi strumenti. Mise in dubbio certe conclusioni di Jean-Dominique Cassini e le sue opere furono spesso tradotte in francese, fra gli altri dal naturalista Buffon.

Il programma di ricerca galileiano converge su due punti essenziali con quello degli astronomi gesuiti: utilizzo della nuova strumentazione (cannocchiale) e ricorso all’osservazione per confermare o smentire alcune teorie. Le pregiudiziali teologiche in realtà non impediscono ai matematici ed astronomi gesuiti o religiosi di avere opinioni discordanti fra loro e, ci sia lecito, in assenza di dimostrazioni, assolutamente legittime.
Da questo lungo elenco di scienziati-religiosi si evidenzia che i contrasti con Galileo furono sempre di natura scientifica e fu proprio un contrasto di natura scientifica che portò il meschino Grassi ad accusare Galileo presso l’Inquisizione dove peraltro Galileo era stimato.

A questo nutrito drappello di gesuiti si aggiungono altri religiosi appartenenti ad altri ordini e laici ma importanti nel periodo storico che stiamo analizzando.

Luca Valerio (1553-1618), matematico italiano. Per la sua abilità di matematico fu definito da Galileo «il nuovo Archimede». Entrò diciassettenne, nella Compagnia di Gesù a Roma nel 1570. Studiò al Collegio Romano, allievo di Cristoforo Clavio, dove si distinse per le sue capacità in logica, matematica e greco classico. Non prese mai i voti. Nel 1582, pubblica un breve trattato il Subtilium indagationum liber primus seu quadratura circuli et aliorum curvilineorum in cui propone un metodo di quadratura basato sull’uso del filo a piombo. Valerio fu all’università di Pisa nel 1584-86, dove ebbe modo di conoscere il giovane Galileo e di discutere con lui di filosofia. Valerio rientrò a Roma, dove nel 1601 gli fu assegnata la lettura di Matematica al Pontificio Collegio Greco di Roma sotto la direzione dei Gesuiti. La sua opera maggiore è il De centro gravitatis solidorum. Il tema affrontato in quest’opera era la determinazione dei centri di gravità dei solidi trattati da Euclide e Archimede (emisfero, cono, piramide, cilindro, paraboloide …). La ricerca sui centri di gravità dei solidi divenne rapidamente il primo progetto di ricerca originale della nuova matematica antica che si andò sviluppando nel corso del XVI secolo, via via che venivano resi disponibili i testi della matematica classica. Se ne occuparono, fra gli altri, Francesco Maurolico, Cristoforo Clavio, Simon Stevin, il giovane Galilei. Tuttavia, per vari motivi, le loro ricerche furono destinate o a rimanere inedite o a conoscere una circolazione assai limitata. Alla fine del secolo, l’unico testo disponibile in materia era ancora il Liber de centro gravitatis solidorum di Federico Commandino (Bologna, 1565) in cui lo studioso urbinate determinava il centro di gravità del prisma, della piramide, del cilindro e del cono. Tentava inoltre di dimostrare che il centro del paraboloide divide l’asse nel rapporto 2:1, ma le argomentazioni addotte erano farraginose e poco convincenti.
Nei tre libri del suo De centro, Valerio prendeva le mosse proprio dall’insufficiente lavoro di Commandino e, ispirandosi a una serie di tecniche usate da Archimede, riusciva a determinare i centri di gravità di tutti i solidi che la matematica greca nota al momento aveva affrontato. In particolare riusciva a determinare (con ben tre dimostrazioni diverse) il centro di gravità dell’iperboloide di rotazione, vero scoglio su cui si erano arenate anche i tentativi del giovane Galileo. Ma la cosa più rilevante è la metodologia che Valerio introduce: invece di procedere con tecniche ad hoc per ogni singolo figura, com’era tipico della matematica archimedea, Valerio introduce classi di figure, definite in base alle proprietà che permettono la dimostrazione di teoremi generali. In questo contesto si collocano le prime tre proposizioni del Libro II del De centro. Considerate a lungo una sorta di anticipazione del concetto di limite, devono essere più correttamente viste come l’«invenzione» del «metodo di esaustione», nel senso che per la prima volta veniva formalizzato ed esposto nei termini generali del linguaggio della teoria delle proporzioni il modo di procedere dei matematici come Euclide e Archimede nelle quadrature delle figure piane e solide. Questi suoi lavori gli diedero rapidamente una grande fama in Italia e Oltralpe; tanto che Galileo (all’epoca ancora professore a Padova) ne ricercò l’amicizia e la collaborazione scientifica scrivendogli nel 1609 e negli anni seguenti. Le scoperte astronomiche proiettarono Galileo nel mondo romano e lo scienziato pisano si appoggiò anche a Valerio per diffonderle e sostenerle. Fu così che Valerio nel giugno del 1612 venne ascritto alla accademia dei Lincei del principe Federico Cesi che appoggiava apertamente le novità galileiane. Valerio revisore per conto dell’Accademia dell’Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari (1613) di Galileo, suggerendo anche alcune correzioni. Tuttavia, quando scoppiò nel 1616 la crisi copernicana che avrebbe portato alla messa all’Indice del (De revolutionibus orbium coelestium), Valerio chiese di essere dimesso dall’Accademia dei Lincei, con la motivazione che non condivideva le posizioni filo-copernicane di Galileo e di Cesi. Le dimissioni furono fatte respingere dal principe in una solenne seduta dell’Accademia, in cui Valerio veniva tuttavia privato del diritto di partecipare alle sedute.

Pierre Gassend, detto Gassendi (1592-1655), presbitero, filosofo, teologo, matematico, astronomo e astrologo francese. In suo onore è stato intitolato l’asteroide 7179 Gassendi e il cratere lunare Gassendi. Ordinato sacerdote nel 1616, a Parigi, insegnò matematica e filosofia dal 1645 e per alcuni anni astronomia al Collège de France. Gassendi fu un astronomo contemporaneo di Galileo, con il quale ebbe una corrispondenza epistolare. Studiò tra le altre cose il movimento delle comete, la topografia, le eclissi lunari e l’evoluzione delle macchie solari. Nel 1621, fu il primo a fornire una descrizione scientifica del fenomeno luminoso dell’atmosfera che egli denominò «aurora boreale», partendo dall’osservazione, il 12 settembre, ad Aix-en-Provence, di una eccezionale aurora polare. Il 7 novembre 1631, osservò il passaggio del pianeta Mercurio davanti al Sole. Studiò anche la propagazione dei suoni e le leggi del movimento e dell’inerzia. Ci sono almeno due punti che collegano Gassendi con le idee di Galileo: 1) l’aver combattuto l’autorità di Aristotele, dominatore incontrastato di alcuni ambienti accademici, 2) l’aver rivalutato l’esperimento come base della teoria, indispensabile per la sua consistenza cognitiva.

Antonio Santini (1577-1662), religioso somasco, matematico italiano formatosi privatamente (di famiglia nobile). Il suo rapporto con Galileo consistette in conversazioni scientifiche che i due ebbero a Venezia. La loro conoscenza fu anteriore all’aprile 1607, quando presenziò ad una udienza della causa tra Galileo e B. Capra. Tra il tardo 1609 e la fine del 1610 fu probabilmente il maggiore informatore di Clavio sulle osservazioni astronomiche compiute da Galileo col nuovo canocchiale, ed inviò al Collegio Romano lo strumento col quale Clavio e i collaboratori verificarono quelle osservazioni; tuttavia la corrispondenza Santini-Clavio è perduta e ciò rappresenta (anche per l’aspetto matematico) una delle perdite più gravi subite dal carteggio del gesuita. L’epistolario galileiano mostra che Santini tornò a Lucca nel febbraio 1611 e che vi era ancora nel dicembre; tra la fine di quell’anno ed il 1614 la sua corrispondenza con Galileo si interrompe e manca qualsiasi altra documentazione su di lui. Fu in questo periodo che Santini maturò una scelta religiosa. Entro nell’ordine dei chierici regolari somaschi nel 1620. Tenne lezioni di matematica: studiarono con lui A. De Mari (massimo ingegnere civile genovese del Seicento) e lo scolopio F. Michelini, futuro seguace di Galilei. Nel 1644 a Roma divenne successore di Gasparo Berti, che aveva tenuto per pochi mesi la cattedra universitaria di matematica dopo Benedetto Castelli. Fu essenzialmente un matematico puro, per di più interessato a parti della matematica del tempo – la geometria apolloniana e l’algebra – esterne agli interessi prevalenti in Galileo. Il suo ruolo sembra essere stato molto importante nella fase di ricezione dell’algebra di Viète in Italia; inoltre, per la lunghezza della sua vita, fu partecipe e testimone dell’evoluzione delle scienze matematiche dalla fine del Cinquecento alla piena affermazione della geometria cartesiana (della quale fu uno dei primi conoscitori), dell’astronomia kepleriana e della meccanica di Galileo e Torricelli. Fu in corrispondenza o comunque in rapporto, con personalità come Clavio, Galileo, Magini, Ghetaldi, G. A. Rocca, Baliani, Gloriosi, Gassendi ed altre significative; il suo nome compare spesso nella corrispondenza di M. Mersenne.

Antonio (Benedetto) Castelli (1578-1643) monaco benedettino, matematico e fisico italiano. Entro nell’ordine benedettino nel 1595, a Brescia iniziò gli studi matematici che dovette terminare a Padova, dove fu trasferito nel Convento di S. Giustina (1604). Nel 1610 Castelli ritornò a Brescia nel Monastero di S. Faustino dove scrisse a Galileo, suo maestro e amico, di cui aveva una grande stima, ringraziandolo del dono del Sidereus Nuncius, da lui già letto ed apprezzato. In seguito si trasferì a Firenze presso Galileo, col quale collaborò assiduamente nelle nuove opere ch’egli scrisse sulle sue scoperte astronomiche e fisiche. Nei suoi esperimenti e studi si dedicò alla matematica e alla geometria. Castelli occupò il primo posto tra i collaboratori di Galilei e fu uno dei maggiori scienziati del suo tempo definito da Galileo stesso “huomo adornato d’ogni scienza e colmo di virtù, religione e santità”. Dopo essere diventato professore ordinario all’università di Pisa (1613), continuò i suoi studi, specialmente quelli intorno al moto ed alla misura delle acque correnti. A Pisa conobbe Bonaventura Cavalieri, e, vista la sua prodigiosa attitudine per la geometria, lo introdusse presso Galileo e lo avviò all’insegnamento; durante le sue numerose assenze dallo Studio lo suppliva proprio il Cavalieri.
Dopo dodici anni di insegnamento a Pisa, il Castelli fu chiamato a Roma dal nuovo Papa Urbano VIII come professore alla Sapienza. Si occupo di idraulica pubblicando un trattato, Della misura dell’acque correnti, opera nata in seguito al confronto scientifico con Nicolò Cabeo. Diffusasi la fama delle sue conoscenze idrauliche, Benedetto Castelli fu frequentemente coinvolto in vari “affari d’acque”, alcuni dei quali molto importanti come lo sbocco dei fiumi nella laguna veneta e la bonifica delle paludi pontine.
A Roma il Castelli si occupò pazientemente di tutti gli interessi di Galileo, soprattutto quando l’Inquisizione prese ad indagare per imbastire il cosiddetto “primo processo di Galileo”, tentando di servirsi dello stesso Castelli, che peraltro si limitò a leggere una lettera all’arcivescovo di Pisa Francesco Bonciani, senza portare alcuna prova contro il maestro.
A Castelli Galileo aveva indirizzato la famosa lettera del 21 dicembre 1613 che è la trattazione più organica del tema dei rapporti fra scienza e fede. Per dirla con le parole dell’astronomo pisano:

“Fra scienza e fede non può esservi contraddizione perché procedono di pari dal Verbo divino, la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio”

Giovanni Battista Baliani (1582-1666), matematico e fisico italiano. È noto per i suoi studi di meccanica e di astronomia. Nel 1613 Baliani viene presentato per lettera a Galilei da Filippo Salviati. Iniziò così con una lettera di Galilei a Baliani (25 gennaio 1614) una corrispondenza scientifica che durò per oltre venticinque anni sino alla morte dello scienziato pisano. Dalle lettere scambiate si evidenziava soprattutto una completa identità metodologica tra i due studiosi. Il 4 aprile del 1614 Baliani comunica a Galilei di aver fatto una formidabile scoperta: un sistema per cuocere senza fuoco. Riempita una pentola d’acqua la si teneva ferma sopra un piatto di ferro che girando vorticosamente provocava attrito e calore facendo bollire l’acqua. Questo primo esperimento confermava la trasformazione dell’energia in calore. La stima crescente negli anni per Baliani portò Galilei, che ebbe modo di conoscerlo di persona nel 1615 a Firenze, a proporlo per l’iscrizione nei Lincei. Mentre Galilei nel 1638 con la prevista pubblicazione delle Nuove Scienze stava per dar forma definitiva ai suoi manoscritti relativi al moto, che già erano apparsi clandestinamente in Olanda, Baliani anticipandolo di alcuni mesi pubblicava il suo trattato De motu naturali gravium solidorum basato su le stesse conclusioni galileiane. Baliani, senza alcun riferimento agli studi di Galilei, rivendicava l’originalità e la priorità delle sue scoperte risultanti da esperimenti risalenti al 1611, effettuati nella rocca di Savona, che anticipavano i fenomeni della «indipendenza della velocità di caduta dei gravi dal loro peso; e la stessa enunciazione delle proposizioni sull’isocronismo delle oscillazioni pendolari e di quelle riguardanti le proprietà del moto uniformemente accelerato»
A causa di questo ci furono incomprensioni tra i due. Dopo la morte di Galilei, Baliani pubblicò nel 1646 un’edizione accresciuta del De motu senza mai citare Galilei, che pure gli aveva fatto notare nell’edizione precedente un errore nelle sue teorie. Il fisico genovese continuava a sostenere la priorità delle sue scoperte appoggiato nella sua pretesa da Cabeo e da Mersenne che gli scriveva il 25 ottobre del 1647. Dopo la morte di Baliani continuò per lungo tempo, anche dopo la riedizione delle sue opere nel 1792, la polemica sulla priorità delle scoperte da risolvere probabilmente con la tesi di un cronologico parallelismo nelle ricerche avvenuto in buona fede tra i due scienziati.

Bonaventura Francesco Cavalieri (1598-1647) religioso, matematico. Fu l’inventore dell’assonometria cavalieri e dell’omonimo principio. Entro nel 1613 nell’ordine dei Gesuati. Successivamente, studiò matematica all’Università di Pisa dove fu allievo di Benedetto Castelli, che ne percepì le notevoli attitudini per le scienze matematiche. A Pisa incontrò Galileo Galilei che, stimandolo uno dei maggiori matematici del suo tempo, ne appoggiò la carriera sino a quando divenne lettore presso l’Università di Bologna, nel 1629. La fama di Cavalieri è dovuta principalmente al metodo degli indivisibili, usato per determinare aree e volumi: questo metodo rappresentò una tappa fondamentale per la futura elaborazione del calcolo infinitesimale. Fu soprattutto lo stesso Galilei a spingere Cavalieri ad occuparsi dei problemi del calcolo infinitesimale. Egli sviluppò infatti le idee di Galilei e di altri sugli indivisibili incorporandole in un metodo geometrico e pubblicò un’opera sull’argomento intitolata Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota (1635). In tale opera, un’area è considerata come costituita da un numero indefinito di segmenti paralleli equidistanti e un volume come composto da un numero indefinito di aree piane parallele; questi elementi sono detti rispettivamente indivisibili di area e di volume. Cavalieri si rende conto che il numero di indivisibili che costituiscono un’area o un volume deve essere indefinitamente grande, ma non cerca di approfondire questo fatto. In parole semplici, gli indivisibilisti sostenevano, come dice Cavalieri nelle sue Exercitationes geometricae sex (1647), che una retta è composta da punti come un rosario da grani; che un piano è composto da rette come una stoffa da fili e che un volume è composto da aree piane come un libro da pagine. Essi ammettevano tuttavia che gli elementi costituenti fossero in numero infinito. Nonostante le critiche dei contemporanei, il metodo degli indivisibili venne applicato intensivamente da molti matematici. Altri, come Pascal, si servirono del metodo e anche dello stesso suo linguaggio, pur partendo da diversi presupposti (l’area era vista come una somma di rettangoli infinitamente piccoli piuttosto che come a una somma di segmenti). Successivamente, costituì un punto di riferimento per alcune delle ricerche geometriche del giovane Evangelista Torricelli. Inoltre è proprio in quanto riferita al suo nome che la assonometria cavaliera si chiama così: la “cavaliera” infatti permette di rappresentare su un foglio bidimensionale oggetti a tre dimensioni tramite l’utilizzo di tre assi aventi l’origine in comune. Essi rappresentano rispettivamente l’altezza (asse verticale), la larghezza (asse orizzontale) e la profondità (asse posto a 45º). La caratteristica dell’assonometria cavaliera è che le dimensioni dell’oggetto rappresentato sono riportate sempre reali sull’asse dell’altezza e su quello della larghezza, mentre va sempre dimezzata la misura che è riportata sull’asse obliquo. A lui è stato dedicato un cratere lunare, il cratere Cavalieri o Cavalerius.

Evangelista Torricelli (1608-1647) matematico e fisico italiano, benché non fosse religioso frequentò la scuola dei Gesuiti, prima a Faenza e quindi a Roma, dove si avvicinò agli studi di matematica, che approfondì sotto la guida di Benedetto Castelli, discepolo di Galileo. L’11 settembre del 1632 Evangelista Torricelli scrisse a Galileo Galilei una lettera di risposta a sue richieste a Benedetto Castelli, che assente in quei giorni aveva lasciato allo studente il compito di segretario; in tale lettera Torricelli colse l’occasione per presentarsi a Galileo, che egli ammirava grandemente come cultore di astronomia e di matematica. Torricelli nel presentarsi descrive la propria formazione scientifica e sottolinea il fatto di avere studiato sotto la disciplina dei Padri Gesuiti, si dichiara inoltre a conoscenza dei fatti che portarono a breve alla condanna di Galilei e afferma la propria fede galileiana:
« Molto Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio Col.mo
Nella absenza del Rev.mo Padre Matematico di N. Sig.re (cioè Castelli), sono restato io; humilissimo suo discepolo e servitore, con l’honor di suo secretario; fra le lettere del quale ha­vendo io letta quella di V. S. molto Ill.re et Ecc.ma, a lei ne accuso, conforme l’ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev.mo ne do parte in compendio. Potrei nondimeno io me­desimo assicurar V. S. che il Padre Abbate in ogni occasione, e con il Maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li Dialoghi di lei Ecc.ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa resolutione.
Io sono pienissimamente informato d’ogni cosa. Sono di professione matematico, ben che giovane, scolaro del Padre R.mo di 6 anni, e duoi altri havevo prima studiato da me solo sotto la disciplina delli Padri Gesuiti. Son stato il primo che in casa del Padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già havendo assai bene praticata tutta la geometria, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longomontano, finalmente adheriva, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, et era di professione e di setta galileista. Il Padre Grienbergiero, che è molto mio, confessa che il libro di V. S. gli ha dato gusto grandissimo e che ci sono molte belle cose, ma che l’opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la tien per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l’ha lodato, crollando la testa; dice anco che si stracca nel leggerlo per le molte disgressioni. Io gli ricordavo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi va intessendo. Finalmente dice che V. S. si è portato male con lui, e non ne vol parlare.
Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d’esser nato in un secolo nel quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè un oracolo della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d’un Ciampoli, mio amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la penna o la lingua o l’ingegno. Haverà quanto prima il Padre R.mo la carissima di V. S., e le risponderà. Intanto V. S. Ecc.ma mi farà degno, ben che inetto, d’esser nel numero de’ servi suoi e de’ seguaci del vero; che già so che il Padre R.mo, o a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per tale. E per fine a V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza.
Roma, 11 settembre 1632. Di V. S. molto Ill.re et Ecc.ma Sig.r Gall. Gal. »
Questa lettera è interessante, Torricelli si definisce di professione “matematico” e fa osservare di aver studiato la matematica dai Padri Gesuiti. Riporta poi le opinioni su Galileo di Grienberger (positiva) e Scheiner (negativa). Si noti come al di là delle implicazioni ideologiche, esistevano tra queste personalità questioni e attriti personali dovute probabilmente a competizione personale. Scheiner lodava Galileo ma sosteneva anche che si fosse comportato male con lui.
Negli anni dal 1632 al 1641 Torricelli lavorò e studiò a Roma con padre Castelli. Nel 1641 Castelli presentò a Galileo, nel suo ritiro ad Arcetri, il manoscritto dell’opera di Torricelli dal titolo: De motu gravium suggerendogli di impiegarlo come discepolo e assistente. Così fu e il 10 ottobre 1641 Torricelli divenne assistente di Galileo, assieme a Vincenzo Viviani.
Oltre all’attività di matematico e studioso di geometria, nel corso della quale elaborò diversi importanti teoremi e anticipò il calcolo infinitesimale, egli si dedicò alla fisica, studiando il moto dei gravi e dei fluidi e approfondendo l’ottica. Possedeva un laboratorio nel quale realizzava egli stesso lenti e telescopi. I meriti di Torricelli in campo scientifico sono talmente tanti, che possiamo solo elencarli: si dedicò allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il barometro a mercurio chiamato “tubo di Torricelli” o “tubo da vuoto di Torricelli” prima della fine del 1644. Nello stesso anno pubblicò l’opera in tre parti dal titolo: Opera geometrica, della quale De motu gravium costituisce la seconda parte. In campo matematico, essendo in diretto contatto con Cavalieri iniziò a lavorare con la Geometria degli indivisibili e ben presto superò, secondo lo stesso Cavalieri, il suo maestro. Torricelli è famoso per la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto tromba di Gabriele, da lui chiamato “solido iperbolico acutissimo”, avente l’area della superficie infinita, ma il volume finito. Questo fu considerato per molto tempo un paradosso “incredibile” da molti, incluso lo stesso Torricelli, che cercò diverse spiegazioni alternative, anche perché l’idea di un secchio che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz’altro singolare. Il solido in questione ha scatenato un’aspra controversia sulla natura dell’infinito, che ha coinvolto anche il filosofo Thomas Hobbes. In questa disputa alcuni hanno sostenuto che il solido conducesse all’idea di un “infinito completo”. Torricelli è stato pioniere anche nel settore delle serie infinite su cui scrisse un opera intitolata De dimensione parabolae nel 1644.
Vincenzo Viviani (1622-1703) matematico, astronomo e ingegnere italiano. Fu allievo di Evangelista Torricelli e discepolo più giovane di Galileo Galilei. Anche Viviani studiò presso un collegio di Gesuiti. Studiò matematica sotto la guida del galileiano Padre Clemente Settimi. Divenne allievo di Evangelista Torricelli e si dedicò alla fisica e alla geometria. Nel 1639, a 17 anni, divenne assistente di Galilei ad Arcetri, fino alla morte del maestro nel 1642. Di Galilei raccolse l’eredità di manoscritti, documenti e lettere, procurandosi di conservare la memoria dello scienziato pisano e di diffondere il suo insegnamento. Dopo la morte di Torricelli nel 1647, Viviani subentrò come suo successore all’Accademia dell’Arte del Disegno di Firenze. Nel 1660, assieme a Giovanni Alfonso Borelli, condusse un esperimento per determinare la velocità del suono: misurando l’intervallo di tempo tra la vista del bagliore dello scoppio di un cannone posto a una certa distanza e la percezione del rumore, giunsero a un risultato di 350 metri al secondo, valore molto più vicino alle misurazioni attuali (331,29 metri/secondo ad una temperatura di 0 °C) del precedente di 478 metri/secondo ottenuto da Pierre Gassendi. Molto probabile che Viviani partecipasse, con Borelli all’esperimento della misurazione della velocità della luce a mezzo di specchi riflettenti, sulla distanza Firenze-Pistoia. Nel 1661 Viviani condusse esperimenti sulla rotazione del pendolo, 190 anni prima della famosa dimostrazione di Foucault. Nel 1687 pubblicò un trattato sull’ingegneria idrica, Discorso intorno al difendersi da’ riempimenti e dalle corrosione de’ fiumi. Alla sua morte, Viviani lasciò un’opera quasi completa sulla resistenza dei solidi, in seguito completata e pubblicata da Luigi Guido Grandi. Il cratere lunare “Viviani” prende da lui il nome.
Giovanni Domenico Cassini (1625-1712), matematico, astronomo, ingegnere, medico e biologo italiano. Compì i primi studi nel collegio dei Gesuiti di Genova, dove venne in contatto con Giovanni Battista Baliani, fisico, matematico e corrispondente di Galileo Galilei. Cassini lavorò come astronomo presso l’Osservatorio di Panzano (Castelfranco Emilia) dal 1648 al 1669. Fu professore di astronomia all’Università di Bologna e divenne, nel 1671, il direttore dell’Osservatorio di Parigi. Cassini, sebbene partigiano delle idee di Galileo, per timore di persecuzioni, preferisce non allontanarsi dalle tesi della Chiesa e del sistema aristotelico che pone la Terra al centro dell’universo. Nel 1665 Cassini è nominato sovra intendente delle acque per lo Stato della Chiesa, progettò fortificazioni e si dedicò al problema dell’irreggimentazione e controllo delle piene del Po. Contemporaneamente continua le sue osservazioni astronomiche, studia le eclissi di sole e pubblica le “Tavole dei pianeti”.

Questo excursus di matematici-astronomi-scienziati vissuti a cavallo tra ‘500 e ‘600 mostra in modo inequivocabile la vitalità dell’ambiente in cui Galileo visse e si nutrì da un punto di vista scientifico e culturale. Gesuiti, Benedettini, Gesuati, Cistercensi o Presbiteri secolari, laici tutti accomunati da un interesse per la matematica, l’astronomia e in generale la scienza. La questione teologica ebbe il sopravvento, Galileo fu condannato ma proseguì tranquillamente la sua attività e dietro di lui così fecero tutti gli altri. Insomma dal punto di vista scientifico quanto avvenne non sposto di una virgola la direzione che ormai era stata impressa allo sviluppo del pensiero scientifico. La matematica applicata all’astronomia diventa il paradigma di un metodo che si estenderà a tutte le discipline dando vita alla Scienza moderna così come oggi la concepiamo.

L’esame dei personaggi che gravitarono intorno Galileo e la loro storia personale evidenzia che i contrasti furono quasi nella maggioranza assoluta legati ad una competizione intellettuale che sfocio in piccinerie e sgarbi più o meno gravi. Galilei era un genio, giustamente ambizioso e sicuro che le dispute potessero risolversi pacificamente in ambito accademico. Queste caratteristiche lo portarono spesso a sottovalutare la meschinità di alcuni dei suoi avversari e colleghi.
Comunque, è certo che altri ordini religiosi nascenti assumeranno la stessa impostazione dei gesuiti. Tra il ‘500 e ‘600, la Ratio studiorum gesuitica rappresentò un modello pedagogico per tutte le altre congregazioni religiose insegnanti: i chierici poveri della madre di Dio (Scolopi), i chierici regolari di s. Paolo Decollato (Barnabiti), la congregazione di Somasca. Nate all’incirca tra gli anni Trenta del Cinquecento e i primi del Seicento, ma sviluppatesi a partire dal primo cinquantennio del 17° sec., queste congregazioni coprono circa il novanta per cento della rete di istituzioni educative maschili tra collegi-convitti, seminari-collegi, seminaria nobilium e semplici scuole comunali o di fondazione privata. Mentre i gesuiti si rivolgono all’educazione dei ceti dirigenti più elevati e alla creazione dei seminaria nobilium, gli scolopi nascono con l’intento di creare scuole popolari gratuite, i barnabiti si rivolgono al ceto medio, i somaschi al clero, agli orfani e agli strati medio-bassi della popolazione. La Ratio fu per tutte «un faro e un punto di riferimento»: un corso di studi distinto in due livelli progressivi (classi di grammatica, umanità, retorica e corsi superiori di filosofia e teologia per gli interni), uso del latino, avvicendamento di dispute e ripetizioni, presenza del teatro scolastico. Questo fu il terreno di coltura di molti degli intellettuali italiani che sarebbero venuti dopo. Uno fra tanti, Giovanni Girolamo Saccheri (1667– 1733) gesuita e matematico italiano. È considerato il padre, seppure inconsapevole, delle geometrie non euclidee. Molti furono gli ecclesiastici discepoli del grande Galileo, alcuni solo estimatori come San Giuseppe Calasanzio.

Dal gruppo dei frequentatori di Arcetri nacque una vera e propria scuola galileiana, che si è prolungata fino a tutto l’Ottocento, gravitando intorno all’Osservatorio Ximeniano. Una scuola che presenterà alcune caratteristiche. La più vistosa è l’esplicita preferenza per il metodo sperimentale. A questo proposito potremmo citare il saggio di fine corso dello studente di Volterra, Giovanni Maria Mastai Ferretti, il futuro papa Pio IX, del 1806, che si intitola, in modo emblematico, Le macchine ottiche. Al centro della dissertazione di Mastai Ferretti c’è un’affermazione perentoria:

«Un fisico matematico non deve ondeggiare tra malferme opinioni: ha bisogno di dati certi quanto è possibile e poiché l’esperienza ne somministra, questa si elegge per guida».

Da Volterra Eugenio Barsanti presbitero degli Scolopi e matematico (1821-1864) ha lanciato l’invenzione del motore a scoppio e quando partirà per il Belgio sentirà il bisogno di rivolgersi proprio all’antico alunno di Volterra, Pio IX, con una lettera quasi di consegna della sua invenzione.

Speriamo che questo lungo contributo sia riuscito a dare il senso di ciò che la cultura italiana ed europea attraverso un gran numero di personalità religiose ha saputo dare al mondo ed alla conoscenza scientifica. La Filosofia della natura coltivata per secoli con amore, prima nei Conventi e poi nelle Università, da tantissimi religiosi si sviluppa e attraverso l’impulso dato dal metodo scolastico dei Gesuiti trova nella matematica l’elemento essenziale per diventare disciplina autonoma. In questa realtà va collocata la figura di Galileo che esprime in pieno la realtà culturale del suo tempo di assoluta compatibilità tra lo spirito della scienza e la sua etica di ricerca da un lato, e la fede cristiana dall’altro. Il metodo scientifico proposto dal celebre toscano non è, per usare un immagine poetica, un fiore sbocciato casualmente in un deserto quanto piuttosto è il frutto di un albero le cui radici affondano proprio nel cristianesimo e nella sua visione teologica.
Semmai Alberto Angela dovesse cimentarsi in una nuova impresa televisiva dopo quella dedicata alle Meraviglie dell’Italia che il mondo ci invidia, ci piacerebbe che questa fosse indirizzata ad alcuni di quei personaggi da noi citati ed un po’ dimenticati su cui si fonda la nostra cultura e la nostra storia.

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