Le Batterie al Rabarbaro, poco alcool molte virtù

Tra i contributi on-demand è stato richiesto dai lettori un approfondimento su un argomento molto rilanciato sulla rete, le batterie al rabarbaro.

Ci si chiede il perché di questo curioso nome e se effettivamente avranno un futuro. Ebbene, prima di parlarvi delle batterie al Rabarbaro è necessaria una breve premessa sulle batterie a flusso alle quali questa tipologia appartiene. Una batteria a flusso (Fig. 1) è un tipo di batteria ricaricabile in cui elettroliti contenenti una o più sostanze elettroattive disciolte fluiscono attraverso una cella elettrochimica che converte l’energia chimica direttamente in energia elettrica. Gli elettroliti sono immagazzinati esternamente, generalmente in serbatoi e vengono pompati attraverso la cella (o celle) del reattore. Le batterie a flusso possono essere “ricaricate” rapidamente sostituendo l’elettrolita liquido. Le batterie a flusso possono modificare energia e potenza in maniera indipendente: i tempi di scarica (energia) sono determinati dalla quantità di elettrolita, la potenza dipende dal numero e dimensioni delle celle di riduzione.

Figura 1. Schema dei componenti di una batteria redox a flusso al vanadio e delle reazioni chimiche che avvengono nei due compartimenti.

Esistono numerosi tipi di batterie a flusso ed anche se una trattazione delle diverse tipologie esula dal contributo in questione, è possibile un approfondimento scaricando un recente rapporto tecnico elaborato dall’ENEA per conto del ministero per lo sviluppo economico. In generale, le batterie a flusso sono note dall’inizio degli anni 70 e sono oggi sviluppate da poche aziende. La tecnologia dominante è quella delle batterie redox al Vanadio, tuttavia, problemi legati al costo, all’impatto ambientale e ad alcune difficoltà tecniche irrisolte ne stanno limitando lo sviluppo.

L’interesse per le batterie a flusso si è intensificato con l’incremento della produzione di energie rinnovabili (eolico, fotovoltaico) che richiederebbe elevate capacità di accumulo non realizzabili con batterie convenzionali.

Esiste un divertente intervento del Presidente Obama nel 2011 su questa tecnologia che è rimasto celebre negli ambienti scientifici per la sua onesta ignoranza sull’argomento ma che certamente è servito a rilanciare l’interesse e gli investimenti nel settore. Parlando della possibilità di immagazzinare l’energia elettrica Obama disse pressappoco così:

“…una soluzione possibile sono le batterie a flusso al Vanadio anche se ammetto di non sapere assolutamente cosa siano ma, questa (Vanadium redox flow battery technology)  è la cosa più forte (cool)  che abbia mai detto in un discorso…

Recentemente sulle riviste Nature (2014) e Science (2015) sono apparsi due articoli ad opera di un gruppo misto di ricercatori delle università di Harvard (USA) e di Eindhoven (Olanda). Probabilmente i titoli degli articoli anche tradotti in italiano “Batterie a flusso acquoso organico/inorganico senza metalli” (Nature) e “Batteria a flusso con chinone alcalino” (Science) non susciterebbero nella maggior parte dei lettori alcun interesse o curiosità. Semplicemente si tratta di batterie a flusso in cui vengono utilizzate come reagenti alcune sostanze organiche particolari.

Leggendo gli articoli vengono citati composti organici dai nomi impronunciabili quali “9,10-anthraquinone-2,7-disulphonic acid” o “2,6-dihydroxyanthraquinone” al punto che si è preferito scriverne gli acronimi (AQDS e DHAQ). La formula chimica di queste molecole (Fig. 2) che ne descrive la disposizione spaziale e i legami tra gli atomi non è di grande aiuto anche se è già più bella a vedersi.

Figura 2. Formule chimiche del 10-anthraquinone-2,7-disulphonic acid (AQDS) e del 2,6-dihydroxyanthraquinone (DHAQ)

Ebbene, l’esagono centrale con gli ossigeni legati è il cosiddetto gruppo chinonico che da il nome all’intera classe dei composti organici detti chinoni tra cui vi sono i due sopra citati.

Uno dei grandi problemi della Scienza fin dalle sue origini è stato quella di trovare chi fosse disposto a finanziarla e da allora le cose non sono molto cambiate. Tuttavia oggi gli scienziati hanno capito che, per ottenere un maggior credito, è necessario saper pubblicizzare in modo semplice ed accattivante i loro studi in modo tale da attrarre l’interesse anche della gente comune. Per questo motivo, in genere, essi cercano di collocare sempre uno studio scientifico nell’ambito di un contributo alla soluzione di un problema sociale di ampia scala (inquinamento, malattie, consumi, ecc) che aspetta di essere risolto.

Se lo studio scientifico riguarda una tecnologia nuova o alternativa ad altre esistenti come nel caso in questione, allora è necessario uno sforzo divulgativo maggiore. Riviste come Nature e Science sono un biglietto da visita di tutto rispetto per ottenere visibilità scientifica e finanziamenti ma, come trasformare un dignitoso lavoro scientifico in un vero e proprio terremoto mediatico?

Qualcuno ha osservato che gli impronunciabili AQDS e DHAQ sono parenti stretti di principi attivi all’interno di specie vegetali come ad esempio l’ursinina nell’uva arsina, lo juglone nell’albero di noce, la plumbagina dalla plumbago, l’emodina dall’aloe vera e infine la rheina che si può estrarre dalla pianta del rabarbaro (Fig. 3).

Figura 3. Principio attivo chinonico Rheina e pianta di Rabarbaro

I più vecchi tra noi ed i cultori del Carosello si ricorderanno lo spot di un liquore, il Rabarbaro Zucca, si quello della cinesina Z. Uno slogan recitava anche: “Rabarbaro Zucca, poco alcool molte virtù”. Se il rabarbaro funzionava per un liquore vuoi che non funzioni anche per una batteria a flusso? Detto fatto, ed ecco che qualche scienziato ha suggerito “ingenuamente” ai giornalisti l’accostamento rabarbaro-batteria lasciando che fosse coniato il termine esemplificativo di “Batteria al Rabarbaro”.

Quasi sicuramente, non vi sareste fermati a leggere un articolo di divulgazione scientifica che vi proponeva la soluzione del problema dell’accumulo elettrico attraverso una batteria a flusso a base di chinone alcalino ma, una batteria al rabarbaro sì. La batteria è quella del cellulare, il rabarbaro è quello del digestivo. Ecco spiegato come uno studio scientifico che non ha mai parlato di batterie al rabarbaro è conosciuto ora con questo nome. Intendiamoci, non è che sostanze come AQDS ed DHAQ non possano sintetizzarsi a partire dalla Rheina del Rabarbaro ma, come abbiamo detto, potrebbero ottenersi da numerose altre piante e pertanto dovremmo a buon diritto parlare di Batterie all’Uva Arsina, Batterie alla Plumbago, Batterie all’Aloe Vera, etc. Chissà che un giorno non venga a qualcuno l’idea che ognuno potrebbe scegliersi la batteria associata alla pianta che preferisce. Al momento però il Rabarbaro va alla grande.

Nell’ottobre scorso è stata fatta presso l’Hotel de la Minerve di Roma una presentazione dal titolo “L’Energia per domani: le batterie organiche a flusso”. La presentazione è stata fatta dal gruppo italiano Green Energy Storage (GES) la cui missione, evidenziata sul sito ufficiale dice:

“Green Energy Storage è stata creata da un team visionario di imprenditori, scienziati e ingegneri appassionati di tecnologie per l’energia e di innovazione. Abbiamo iniziato la nostra avventura pensando a un mondo pulito e verde in cui l’energia possa essere disponibile, rinnovabile, sicura e alla portata di tutti.

Grazie a tecnologie acquisite dall’Università di Harvard ed in collaborazione con l’Università di Roma “Tor Vergata” stiamo sviluppando un nuovo sistema commerciale di accumulo di energia basato sulla tecnologia delle batterie a flusso di tipo organico. Un prodotto unico e innovativo che mira a costi più bassi, un ciclo di vita più lungo, all’uso di materiali organici rinnovabili e ad un alto livello di sicurezza.

Siamo, e vogliamo rimanere, all’avanguardia della tecnologia dei sistemi di accumulo per fornire soluzioni innovative e pulite per l’Energia per domani.”

Il sito del GES è denso di spiegazioni ed il comunicato stampa elaborato per la conferenza chiarisce bene il problema, la soluzione e gli attori implicati;

Il dirompente sviluppo delle energia rinnovabili da diverse fonti e la conseguente evoluzione delle smart grid (reti intelligenti), richiede la disponibilità di sistemi di accumulo a basso costo, sicuri, puliti e di ampia scalabilità. Questo è diventato l’obiettivo di tutti gli operatori del settore elettrico del mondo. Per questo motivo Green Energy Storage ha sottoscritto un accordo esclusivo di licenza per tutti i 28 paesi della comunità europea incluso Norvegia e Svizzera con l’Harvard University per lo sviluppo industriale di batterie organiche a flusso biodegradabili e quindi non inquinanti: un vero breakthrough tecnologico che può dare una risposta altamente innovativa ed ecologica a questa pressante esigenza del mercato.

Green Energy Storage si avvale della collaborazione dei Proff. Michael Aziz e Roy Gordon di Harvard University e della Prof.ssa Silvia Licoccia, Delegato del Rettore per la Ricerca Scientifica di Ateneo dell’Università di Roma “Tor Vergata”, che fanno parte del Consiglio Scientifico della Società e ne indirizzano gli sviluppi tecnico-scientifici. Il supporto scientifico per le attività di ricerca e sviluppo di GES è fornito dal gruppo di ricerca Materials and Devices for Energy, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, diretto dalla Prof.ssa Licoccia.

Inoltre in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler di Trento e l’Università di Roma “Tor Vergata”, Green Energy Storage ha avviato un progetto di ricerca industriale che consentirà di sviluppare una prima batteria con potenza superiore al Kilowatt per la metà del 2016. Altri progetti di ricerca sono in via di predisposizione in ambito Horizon 2020, finanziati dalla Commissione Europea. Green Energy Storage ha contatti in corso con Industrie De Nora, azienda leader mondiale nella progettazione e realizzazione di elettrodi innovativi, quale fornitore della componentistica interna delle batterie e con importanti operatori industriali e finanziari interessati allo sviluppo del progetto. Green Energy Storage ha quindi raccolto intorno a questo ambizioso obiettivo le migliori competenze e con questo desidera contribuire in maniera concreta alla crescita del Paese in un settore che ha una dimensione economica stimata in alcune decine di miliardi di euro all’anno e si candida a rappresentare un modello di sviluppo per l’Italia tutta.”

 

Cos’altro aggiungere, l’impegno del GES è di tutto rispetto come lo sono gli scienziati coinvolti. La questione non è di facile soluzione in quanto tutte le batterie a flusso risentono del problema del mescolamento delle soluzioni attraverso la membrana durante il loro funzionamento. Tuttavia, i vantaggi dell’uso di sostanze organiche chinoniche in questo tipo di cella sono interessanti e possiamo elencarle:

  • Non tossicità ed elevata abbondanza sulla terra
  • Possibilità di sintesi su scala industriale
  • Subiscono reazioni redox rapide
  • Permettono l’uso di membrane a basso costo
  • Ottengono alte densità di energia
  • Stabilità e durabilità
  • Minor costo rispetto al vanadio

Quest’ultimo punto è stato stabilito ragionando in termini di economia di scala in quanto, attualmente la realtà è un po’ diversa. Infatti, il costo dell’AQDS con un grado di purezza dell’85% è di 0,72 euro/gr, il costo del DHAQ con un grado di purezza del 90% è di 21 euro/gr mentre il costo del bistrattato pentossido di Vanadio con purezza superiore al 99,6 % è di 0,29 euro/gr.

Come possiamo concludere questo articolo? Dalla conferenza stampa ed ancor prima, dall’uscita degli articoli su Nature e Science, è stato un proliferare di rilanci della notizia sulla rete. Provare per credere, osservando il numero di risultati che si ottengono semplicemente inserendo in un motore di ricerca le parole “Batteria al Rabarbaro” o “Rhubarb Flow Battery”. L’espansione di una notizia scientifica attira interesse e risorse, ma non è automaticamente una garanzia di successo. Solo il tempo e lo studio ci diranno se effettivamente questa soluzione tecnica risulterà vincente anche se, l’esperienza ci dice che la ricerca su questi argomenti non è semplice come bere un bicchiere d’acqua o meglio, come bere un bicchierino di rabarbaro. Prosit.

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